Suonare in caso di tristezza. W la scuola pubblica

Suonare in caso di tristezza. Cronache Letterarie

Sono entrata a scuola a tre anni e non ne sono mai più uscita.
Da alunna prima, e da insegnante ed educatrice poi, sono quasi al termine del mio quarantaquattresimo anno scolastico.

Vengo riconosciuta da sempre come persona paziente e tollerante, ma mi trasformo in un soggetto del tutto insofferente verso coloro che maltrattano e denigrano la Scuola Pubblica che, pur con tutti i suoi limiti e le sue storture, resta l’unico luogo istituzionale di formazione e istruzione per le nostre ragazze e i nostri ragazzi.

Per questo mi sono innamorata subito di un libro che sviluppa, attraverso un carteggio fra i due autori, un’analisi e una riflessione critica sulla scuola italiana e sulla sua inscindibilità dall’idea di democrazia.
Scuola e democrazia crescono o si spengono, insieme.

Suonare in caso di tristezza

Già il titolo di questo libro mi ha riempito il cuore: Suonare in caso di tristezza. È la frase che una studentessa scrisse accanto al campanello dell’ingresso principale della sua scuola.
Una frase magnifica che dice di accoglienza e comprensione, di senso della comunità, di allegria e speranza.

Gli autori sono Giuseppe Bagni, 68 anni, che ha insegnato Chimica e Laboratorio nell’Istituto Tecnico e professionale Leonardo Da Vinci di Firenze, e Giuseppe Buondonno, 58 anni, che insegna Italiano e Storia presso il Liceo Artistico Statale di Fermo. Un liceo nel quale io stessa ho insegnato oltre dieci anni fa, riportandone una delle esperienze più felici della mia vita.

Lo scambio epistolare fra i due non era nato a scopo di pubblicazione. Ma poi Beppe e Peppino hanno pensato che le loro riflessioni sul sistema scolastico del nostro Paese potessero interessare anche altri.
Entrambi esplicitano fin dalle prime pagine che intendono riferirsi alla “Scuola della Costituzione” e alla sua costruzione permanente, come costante e permanente dovrebbe essere anche la rigenerazione della democrazia.

Immigrati digitali che insegnano a nativi digitali

Nelle loro lettere, pubblicate meno di un anno fa, da PM Edizioni, i due insegnanti si definiscono “immigrati digitali che insegnano a nativi digitali”.

Suonare in caso di tristezza

Qui si annida il più recente mutamento antropologico del sistema scolastico: il digitale è entrato nella psiche e nei corpi in un lasso di tempo indicibilmente breve e ha introdotto un mondo nuovo che, noi insegnanti, dobbiamo cercare di capire. Senza però dimenticare di includere, in tale comprensione, anche la sfera emotiva ed esistenziale dei giovani in età scolastica.

La scuola dovrebbe ritrovare, nell’epoca digitale che accelera tutto, la lentezza, perché la vera conoscenza ha bisogno di riflessione, di attingere dal passato per sporgersi sul futuro.
Il desiderio di imparare è innato in ogni essere umano, ma bisogna saperlo stimolare nei nostri giovani:

“La conoscenza è il frutto di una risposta cercata appassionatamente dentro di sé”.

Un buon insegnante ha a cuore il futuro, perché ogni giorno il futuro gli si para davanti “in carne ed occhi” e gli si affida. L’autorevolezza di un docente ha origine nel suo assumersi la responsabilità di preparare il futuro dei suoi studenti.

“Se la scuola, cioè il modo di crescere, capire, imparare, ha smesso di essere un problema centrale della democrazia, è perché la democrazia ha smesso di essere strumento per crescere, capire, imparare, cioè metodo di soggetti collettivi coscienti e anche conflittuali. Ed è diventata mercato del consenso”.

Il legame è liberazione

La scuola italiana sta correndo il grosso rischio di smarrire la coscienza storica, di smettere di promuovere costantemente la visione collettiva della realtà e la formazione di un pensiero critico del mondo che possa contrastare l’egemonia individualistica alla quale ci stiamo abituando.
Siamo diventati autoreferenziali, vulnerabili e narcisisti: se la scuola riuscisse a riscoprire il senso di comunità, potrebbe arginare questa deriva.

“Se non agganci i desideri e le paure [degli altri], per portarli al livello della coscienza, parli da solo. E questo, avrai notato, è un assioma che può valere tanto per la scuola, quanto per la psicanalisi, quanto per la politica; perché il legame è la liberazione e l’auto governo delle persone”.

L'attimo fuggente. Suonare in caso di tristezza. Cronache Letterarie

La scuola pubblica, secondo gli autori di Suonare in caso di tristezza è quella che combatte l’oscurantismo, l’ignoranza e l’approssimazione.
La pandemia da Covid ha assestato un altro vigoroso colpo all’impianto della scuola tradizionale. L’introduzione delle lezioni in modalità online ha, infatti, ulteriormente velocizzato e parcellizzato il “tempo del sapere”, esasperando la digitalizzazione.

Non c’è scuola senza evoluzione del senso critico, non esiste democrazia laddove la scuola pubblica sia inesistente o di scarsa qualità.
La scuola deve essere luogo di serenità e desiderio.

Gli studenti vanno aiutati ad individuare i propri bisogni reali e a creare il contesto di vita adatto per soddisfarli. Le ragazze e i ragazzi vanno sostenuti e stimolati a porsi le giuste domande, dando loro tutto il tempo che serve per trovare le risposte che li guideranno nel percorso della vita. Non hanno bisogno di risposte preconfezionate. Solo così si cambia il mondo.

Milena Corradini

Milena Corradini

Classe 1975, vivo a Porto Sant'Elpidio, nelle Marche. Laureata in Filosofia. Atea, liberale, appassionata di letteratura e arte, sono docente educatrice presso il Convitto dell'ITT Montani di Fermo. Ho insegnato Filosofia, Storia e Psicologia in vari licei. Studio bioetica del fine vita e organizzo eventi di approfondimento su questo tema.

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