
I generi e “le scuole”
La narrativa la scrivono gli autori che – si spera – non sono fatti in serie e si distinguono ognuno per qualche peculiarità. Ma è possibile, anzi frequente, che si trovino autori con qualche importante elemento in comune, talvolta nello stile, talaltra nella cornice. In questo caso, soprattutto nella narrativa di genere, si parla di “scuole” ed è una distinzione che agli editori piace moltissimo, perché permette di orientare rapidamente le scelte del pubblico assecondandone il gusto.
Nei diversi sottogeneri in cui è suddiviso il giallo, l’espressione “scuola” viene usata con una frequenza ai limiti dell’abuso. Ad esempio, nella “scuola scandinava” si finisce per inserire anche gli autori finlandesi (anche se non è che ce ne siano molti, almeno in Italia ne sono arrivati davvero pochi). Questo benché linguisticamente e culturalmente la Finlandia abbia poco a che vedere con Svezia, Norvegia, Danimarca e Islanda. Però sta lì nell’estremo Nord, geograficamente contigua. E quindi si presume che il lettore, davanti a vicende con personaggi biondi che si muovono tra boschi e lande gelate per lunghi inverni e brevi estati, non andrà tanto per il sottile.
La scuola della via Emilia

Pure tra gli autori italiani, si possono riconoscere non poche “scuole”, spesso portate avanti per molti anni dalla piccola editoria locale, prima che gli editori nazionali si accorgessero della loro esistenza.
Il caso esemplare e più noto è “la scuola della via Emilia”. Scuola sorta a partire dalla figura di Loriano Macchiavelli, dal Mystfest di Cattolica (che si tiene dal 1973 quando i gialli italiani non li leggeva quasi nessuno) e dal lavoro incessante, umile e prezioso di appassionati esperti del giallo italiano, come Loris Rambelli, autore di importantissimi contributi critici.
Il battesimo della “scuola della via Emilia” avvenne nel 1990 con la fondazione a Bologna del Gruppo 13, il cui maggior esponente è sicuramente Carlo Lucarelli.
Il Tartan Noir
Anche all’estero si possono trovare “scuole” analoghe e oggi tratteremo il Tartan Noir.
Come Tartan si intende (oltre al poliuretano delle piste di atletica) il tessuto che si utilizza per realizzare i kilt scozzesi. Il termine fu utilizzato per la prima volta da James Ellroy nella recensione di un romanzo di Ian Rankin e da allora è passato quasi istantaneamente nel gergo della critica e del marketing editoriale.
Dovrebbe indicare il giallo scozzese, ma non tutti hanno le idee chiare al riguardo. Ad esempio Unionpedia, tra gli autori del Tartan Noir cita anche L. H. Ognall, vissuto dal 1908 al 1979, ottimo e versatile scrittore che in Italia è stato pubblicato nel Giallo Mondadori con i suoi due pseudonimi Hartley Howard e Harry Carmichael. Nato in Canada, L. H. Ognall era legato alla Scozia per esservi cresciuto, ma non vi ha mai ambientato un romanzo. Invece, il Tartan Noir si caratterizza innanzitutto per le ambientazioni rigorosamente scozzesi.
I 5 migliori autori di Tartan Noir
Tenere il conto di tutti gli autori di Tartan Noir può essere complicato. Anche perché molti sono pressoché sconosciuti in Italia e a questo punto può essere utile stabilire una gerarchia.
Il sito Kronos Books ci aiuta in questo, proponendo un “poker d’assi” della categoria.

Innanzitutto c’è William McIlvanney, vissuto dal 1936 al 2015, considerato di fatto il fondatore del genere con il breve (tre romanzi appena) ciclo dell’ispettore Jack Laidlaw di Glasgow.
Poi Ian Rankin, nato nel 1960 e indiscusso grand master della categoria – se non altro per le copie vendute e le lingue in cui è stato tradotto – con il lungo ciclo dell’ispettore John Rebus di Edimburgo.
Infine, due autori di Aberdeen: Peter May (leggi anche qui), nato nel 1951 e autore del breve ciclo del poliziotto Fin McLeod, e Stuart MacBride, nato nel 1969 e prolifico autore del ciclo del sergente, poi ispettore, Logan McRae.
Appuntamento con la morte
Il romanzo che recensiamo oggi è proprio l’ultimo di MacBride, Appuntamento con la morte.
L’argomento è di notevole attualità. Si sa che in Scozia, come in molte altre aree, esistono diversi movimenti autonomisti che si oppongono in molti modi ai loro “rivali” unionisti.
A prescindere dalla propria opinione personale sulla legittimità delle rivendicazioni degli uni e degli altri, il solo punto su cui le persone di buonsenso sono sicuramente d’accordo è che quando certe questioni finiscono in mano ai fanatici e ai delinquenti, non ne viene fuori mai nulla di buono.

È appunto quello che succede ad Aberdeen in questa storia, ad opera di una cellula di Alt-Nat, che dovrebbe essere un’espressione gergale nata su Twitter per indicare i fanatici. La cellula rapisce una serie di personalità unioniste: un costituzionalista, un politico locale, un personaggio televisivo. Tutti gli ostaggi sono sottoposti ad atroci torture e mutilazioni, con tanto di video che girano in rete subito dopo, diventando virali.
La polizia di Aberdeen ha già abbastanza gatte da pelare per l’ondata di caldo estivo e la serie di incendi cittadini cui contribuiscono anche i piromani. Per di più viene incaricato delle indagini l’ispettore Frank King, ossia la persona meno indicata, dato che quasi subito emergono notizie ufficiose che lo vorrebbero simpatizzante autonomista in gioventù.
Poiché la situazione è delicata, King viene messo sotto la tutela del più esperto collega Logan McRae, appena rientrato da una lunga assenza per essere stato gravemente ferito in servizio.
Non contenti i rapitori, una volta straziati gli ostaggi, si divertono a inviare in giro anche parti del loro corpo, via posta. Una svolta nelle indagini si ha quando una telecamera di sorveglianza, vicina a un ufficio postale, inquadra un soggetto sospetto e identificabile. È un terrorista autonomista già noto e, per così dire, figlio d’arte. L’unico dubbio è che, trattandosi di un tipo non particolarmente sveglio, è probabile che ci sia qualcuno dietro di lui. Qualcuno che abbia elaborato quel complesso e contorto piano e tiri i fili di quello che succede.
Purtroppo, per un bel po’ di tempo, la ricerca del sospetto risulta difficilissima, data la rete di omertà che lo protegge tra amici, parenti, vicini di casa e chiunque abbia avuto a che fare con lui. Naturalmente, più si va avanti, più rischia di commettere un errore. Solo che, davanti allo spettacolo delle vittime, non si può aspettare.
L’ironia di MacBride
Appuntamento con la morte è sicuramente un romanzo dalla trama avvincente, con colpi di scena continui e ben dosati. Ha però il difetto di essere inutilmente lungo, ma qui occorrerebbe aprire una discussione che richiederebbe più tempo e spazio di una recensione.
Probabilmente MacBride scrive pensando a un suo lettore ideale, a un pubblico affezionato che lo legge proprio perché scrive in un determinato modo. Per me, alla lunga risultano fastidiosi e irritanti i modi con i quali sdrammatizza le situazioni più cupe con l’ironia. Anche se l’ironia è proprio una caratteristica del Tartan Noir.
In pratica, nella squadra di poliziotti cui appartengono King e McRae, ci sono parecchi personaggi che sono letteralmente delle macchiette, e questo ci può anche stare. Ma ricordarlo con battute e battutine ogni volta che entrano in scena, a lungo andare diventa stucchevole. Tanto più che questo allunga ulteriormente il brodo di un romanzo già lungo 432 pagine.
È vero che oggi questa è la tendenza. Gli editori sembrano sempre entusiasti di far firmare, agli autori affermati, polpettoni interminabili che evidentemente contribuiscono alla fidelizzazione del lettore più delle opere brevi. Ma quando la quantità finisce per crescere a scapito della qualità, non appare una scelta molto lungimirante.