L’umanità presentata sullo schermo in questa edizione del festival di Venezia è infestata dal timore e dall’ombra della morte. Eppure, sappiamo che il mondo è fatto di opposti che convivono e si bilanciano, perché in fondo vita e morte procedono a braccetto. Non appare quindi un caso che a vincere il prestigioso Leone d’oro sia stato un film con al centro una simile dualità.
Leone d’oro
All the Beauty and the Bloodshed
Le voci dei morti vengono portate avanti dai vivi che se ne fanno testimoni nel toccante documentario All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras, con protagonista la fotografa e attivista Nan Goldin.
Goldin, negli ultimi anni si è dedicata alla lotta contro Purdue Pharma e i Sackler suoi proprietari (già al centro della splendida serie Dopesick). La fotografa ha incentrato la sua pratica artistica sul documentare la propria vita e quella della sua comunità di amici e artisti.
La Purdue Pharma è l’azienda farmaceutica che a partire dal 1996 ha immesso sul mercato americano un oppiaceo che ha portato centinaia di migliaia di americani a una forte dipendenza e 500 mila di loro alla morte.
La morte sembra aver segnato la vita della Goldin fin dall’infanzia, quando sua sorella si suicidò appena adolescente, per poi continuare con i tanti amici falcidiati dall’AIDS negli anni ’80-’90.
Eppure, le sue foto restano un concentrato di vita, con la sua bellezza, le sue fragilità, le sue solitudini e l’amore. Ha uno sguardo che si pone sullo stesso piano dei suoi soggetti, in una sostanziale permeabilità fra i due lati dell’obiettivo, infusa di empatia.
Leone d’argento
Bones and All
Il Leone d’argento alla miglior regia è andato invece a Luca Guadagnino per Bones and All, nel quale il regista italiano torna a lavorare con Timothée Chalamet, affiancandolo a Taylor Russell, vincitrice a sua volta del Premio Marcello Mastroianni come giovane attrice emergente.
Miglior sceneggiatura e miglior attore
Gli spiriti dell’isola – The Banshees of Inisherin
Altra riunione fra regista e attore che ha portato bene è stata quella tra Martin McDonagh e Colin Farrell con The Banshees of Inisherin, titolo italiano Gli spiriti dell’isola. Il regista di Tre manifesti ad Ebbing, Missouri (presentato a Venezia 76) e di In Bruges, torna a dirigere Brendan Gleeson e Colin Farrell. Il risultato è la Coppa Volpi come miglior attore a Farrell, mentre McDonagh vince il premio per la miglior sceneggiatura.
Se si pensa che il favorito come miglior attore era lo straordinario Brendan Fraser di The Whale (leggi anche qui), ci aspettiamo molto da questo film (che non sono ancora riuscita a vedere).
Miglior attrice
Cate Blanchett per Tár
Il premio come miglior attrice va invece a Cate Blanchett per il dimenticabile Tár, diretto da Todd Field. Premio meritato considerata l’intensa prova della Blanchett nei panni di una direttrice d’orchestra accusata di molestie. Peccato solo che il film sprechi la sua interpretazione. Non bastano una buona idea e un tema attuale a fare un buon film, serve anche e soprattutto una sceneggiatura degna di questo nome che qui risulta non pervenuta, con il risultato che Tár è tanto lento e noioso quanto privo di sostanza.
La giuria, presieduta quest’anno da Julianne Moore, ha poi assegnato il Gran Premio della Giuria alla regista Alice Diop per Saint Omer, film su un infanticidio, ispirato a un fatto di cronaca, rappresenta il tentativo di trovare un senso a un gesto drammatico e inspiegabile.
La Diop si porta a casa anche il Premio Opera Prima Luigi De Laurentis – Leone del Futuro.
Premio speciale
No Bears
Un premio speciale è invece andato al film che per giorni è parso il più papabile per il Leone d’Oro, No Bears dell’iraniano Jafar Panahi, che è detenuto nel suo paese. Un’ulteriore riprova del fatto che il cinema possa essere politico oltre che artistico (e che le “proiezioni” non azzeccano nemmeno il risultato di una kermesse cinematografica, figuriamoci altro…).
Si chiude così la 79ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, un’edizione ricca, di altissimo livello e ad alto tasso di glamour grazie alle tante star internazionali che hanno sfilato sul red carpet. Prima di chiudere ci riserviamo però due personali menzioni speciali per due film non premiati ma che meritano senz’altro una visione.
Due film che secondo noi meritano di essere visti:
Argentina, 1985
Il primo è Argentina, 1985 di Santiago Mitre: efficace e coinvolgente ricostruzione del processo ai responsabili delle torture e omicidi politici della dittatura militare. Un processo svoltosi in un momento cruciale del cammino di democratizzazione dell’Argentina, in cui l’esercito e la marina erano ancora capaci di minacciare credibilmente il nuovo governo.
Il racconto è teso e al contempo ricco di ironia, perché in fondo le dittature sono tutte drammaticamente ridicole. Forte di un cast perfettamente in parte, Mitre lascia che siano i fatti a parlare, proprio come fa il procuratore Strassera interpretato da Ricardo Darín. Mentre sono i vivi a portare la testimonianza per chi non ce l’ha fatta. La verità è innegabile, come la morte, e trova sempre una sua strada.
L’immensità
di Emanuele Crialese
Così come avviene per la protagonista de L’immensità di Emanuele Crialese, interpretata dall’esordiente Luana Giuliani affiancata da Penélope Cruz: Adriana, una bambina che si sente maschio e che rifiuta di conformarsi alle aspettative tradizionali. Cosa che in fondo fa un po’ anche sua madre, che la supporta, cerca di proteggerne la libertà di espressione e al tempo stesso di tutelarla, salvo poi dover tutelare anche sé stessa.
La verità di Adriana è che è Andrea, non Adriana, e se a scuola deve sottostare al grembiule del colore sbagliato può però sempre immaginarsi come Celentano a cantare accanto a sua madre nei panni di Raffaella Carrà. Perché in fondo la verità non dev’essere noiosa per essere significativa e il grande schermo a Venezia ha saputo ricordarcelo.
Buon cinema a tutti!