La più recondita memoria degli uomini

Vincitore del Premio Goncourt 2021, La più recondita memoria degli uomini è un romanzo di formazione complesso e intrigante quanto può esserlo un libro pienamente calato nella storia contemporanea. Una scrittura riuscita, in perenne bilico tra due culture senza rinnegare né l’una né l’altra.

Nel labirinto dell’umano

Ecco il tuo errore. Ecco l’errore di tutti quelli come te. Voi credete che la letteratura corregga la vita, o la completi o la sostituisca, ma è sbagliato. […] Siete narratori permanenti, ma quel che conta è la vita, la scrittura viene soltanto dopo. Le due non vanno mai confuse”.

Mentre si continua a celebrare la narrativa salvifica del politicamente corretto ecco apparire sulla scena letteraria un romanzo che è tutto tranne che votato a salvare il lettore, se non l’umanità intera.

Scritto da un giovane autore senegalese che vive in Francia, Mohamed Mbougar Sarr, La più recondita memoria degli uomini è un viaggio dalle rotte imprevedibili e misteriose nel labirinto dell’umano e del disumano.

LES ALMADIES DAKAR SENEGAL
Panoramica della città di Dakar, capitale del Senegal (di Kayhan Ertugrul)

Il giovane protagonista, Diégane Latyr Faye, vero e proprio alter ego dell’autore, è uno scrittore senegalese che vive a Parigi in cerca della propria identità. Acerbo e ingenuo, mentre vagabonda per la città s’imbatte per caso in Siga D. passionale quanto impietosa scrittrice di successo che ha tagliato i ponti col suo paese d’origine, sempre il Senegal, a causa dei romanzi che ha scritto. Sono sue le parole su citate, rivolte a Diégane come un monito maieutico. Non a caso Diégane la chiama il Ragno Madre. E sarà il Ragno Madre ad introdurre Diégane nel labirinto di T. C. Elimane.

Nessuno sa chi fosse realmente questo mitico narratore di Dakar, autore di un altrettanto mitico libro pubblicato nel 1938 a Parigi: Il labirinto del disumano. All’epoca il libro suscitò un tale scandalo che l’autore fu salutato da alcuni critici come un nuovo genio, da altri accusato di plagio. Deluso dall’accoglienza della sua opera T. C. Elimane sparì nel più totale oblio sociale e letterario.

Dal momento in cui il Ragno Madre gli dona una rarissima copia de Il labirinto del disumano inizia il vero viaggio di Diégane nel tentativo di ricostruire la storia di T. C. Elimane. Chi si nascondeva dietro questo evidente pseudonimo? Che fine fece T. C. Elimane dopo lo scandalo del suo libro? E come mai il Ragno Madre aveva una preziosa copia proprio di quel libro?

Farsi bicot

Il romanzo di Mohamed Sarr non è semplicemente un bildungsroman. Dall’Europa all’America Latina sino all’Africa contemporanea, la ricerca di Diégane diventa via via una riflessione critica sulla letteratura e sul post-colonialismo attraversando grandi eventi storici: dalla colonizzazione dell’Africa alla Shoa, dalle stragi fratricide in Africa alle pseudo-rivoluzioni in stile primavera araba.

A differenza di altri autori africani contemporanei, penso ad esempio a Hisham Matar o Chimamanda Adichie, Mohamed Sarr/Diégane non incentra la narrazione sulla staticità del ricordo, né scrive con quel distacco flaubertiano che può derivare dall’assimilazione. È appena il caso di evidenziare quanto sia insidioso questo argomento anche per chi legge.

Eppure Mohamed Sarr ha coraggio e corre il rischio di affrontare questi aspetti in chiave critica soprattutto attraverso due personaggi maschili affatto secondari: due fratelli, Assame e Ousseynou. Il primo incarna l’intellettuale assimilato in tutto e per tutto sino a considerare la Francia la sua unica, vera patria. Mentre il secondo rinnega totalmente la cultura del colonizzatore per tenere viva quella tradizionale del suo popolo. Naturalmente, anche questi personaggi sono legati a T.C. Elimane, il vero filo rosso che unisce i vari protagonisti.

Questi e altri aspetti metaletterari vengono posti da Mohamed Sarr senza scadere nell’esotico e senza rinunciare a una scrittura a tratti passionale e coinvolgente. Riesce a mantenere vivi quegli aspetti misteriosi della cultura senegalese e africana in generale, ma comuni a tutti i popoli ancora capaci di stare nell’armonia con la natura e di alimentare la visione dell’interiorità. Tuttavia s’intuisce il dilemma dello scrittore e dell’uomo consapevole di quanto poco possa bastare perché tutto questo muoia. Il colpo di vento di una generazione, ad esempio.

Mohamed Sarr/Diégane si fa bicot per usare un’espressione di Frantz Fanon, cioè fa ritorno al suo popolo sino a “diventare il più indigeno possibile, il più irriconoscibile” ma senza tagliarsi le ali cresciute all’ombra della Tour Eiffel. Quelle ali che gli possono permettere di andare oltre i limiti inevitabilmente derivanti dallo sclerotizzarsi della e nella cultura d’origine.

Non a caso lo stesso scrittore richiama Fanon per accusare i connazionali pseudo rivoluzionari di sterile citazionismo. Pseudo rivoluzionari perché, alla fin fine, i modelli politici a cui si ispirano sono quelli tipici del colonizzatore.

Volendo portare ciò all’estrema conseguenza potremo avanzare il dubbio che anche accettare un premio come il Goncourt potrebbe considerarsi un cedere al neo-colonialismo. Del resto già un altro giovane scrittore, Joseph Andras, rifiutò il Goncourt nel 2016 non condividendone la logica, tutta occidentale, della competizione e della rivalità.

Il dilemma esistenziale: scrivere o non scrivere

Diégane non offre alcuna verità né parteggia per Assame o per Ousseynou. Piuttosto procede a tentoni nel labirinto di T. C. Elimane come il sergente della Factory di raymondiana memoria nella nebbia londinese (a proposito, se non avete mai letto un romanzo di Derek Raymond, beh, vi consiglio di farlo), così come vive con estrema labilità interiore e assoluta incertezza il desiderio di amare e di essere amato.

In questa fragilità che, in realtà, è paura di vivere pienamente la vita e di assumersene la responsabilità, ritroviamo nel personaggio di Diégane lo specchio dell’umanità di oggi.

Persino la madre si stupisce della sua mancanza di una posizione chiara ed esplicita su ciò che accade nel suo paese. E Siga D. continua ad aver ragione: Diégane confonde ancora vita e narrazione.

Almeno sino a quando il Ragno Madre non gli indica la via della memoria affinché scavi sino all’antro più recondito di essa. Forse scoprirà che a nessuno, anche oggi, interessa parlare di letteratura e di valore estetico, che Elimane e il suo mistero sono vivi proprio perché si sono sottratti alla mediocrità, connettendo tutti loro, vivi e morti, in un legame circolare oltre il tempo e lo spazio.

Nell'immagine il filosofo Jiddu Krishnamurti
Jiddu Krishnamurti

Secondo Mohamed Sarr resta il dilemma esistenziale che affligge tutti coloro che sono ossessionati dalla letteratura: scrivere o non scrivere.

Beh, con Siga D. il Ragno Madre erompo in una grassa risata: che ingenuo, Diégane. Ancora non sai che i morti sono i vivi e i vivi sono i morti? E che vivere è scrivere senza ambire a nessun premio, a nessuna fama? “Questo modo di vivere porta con sé una ricchezza e una bellezza straordinarie” direbbe Elimane/Krishnamurti

Roberto Concu

Roberto Concu

Poeta, qualche volta narratore, lettore forte. Nella sua libreria Hugo, Kawabata, Calvino, Grossmann, Roth, Everett convivono armoniosamente con Izzo, Derek Raimond, E. Bunker, Ed McBain. Ma è la poesia a farla da padrona.

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