Biografia romanzata di Marilyn Monroe
E così, dopo aver letto e apprezzato moltissimo Sorella, mio unico amore, qualche riga di commento su Blonde di Joyce Carol Oates che da tempo volevo leggere, ma la cui mole mi incuteva un certo spavento, visto che conta oltre mille pagine.
Comincio col dire che si tratta sicuramente di un bel romanzo. Come noto ai più, Blonde è una biografia romanzata ispirata alla vita della Bionda per antonomasia, l’indimenticabile Norma Jeane Baker, in arte Marilyn Monroe.
Con la sua penna inconfondibile in termini di precisione e acume, Oates ci restituisce il ritratto privato di una giovane donna quasi scissa tra il suo vero Sé, come direbbero gli psicologi, e il personaggio cucitole addosso dagli studios hollywoodiani.
Una bimba sfortunata, senza padre e con una madre schizofrenica, che passa infanzia e adolescenza in lugubri orfanotrofi, o affidata a famiglie che non solo non sapranno colmarne il vuoto emotivo, ma che tenteranno di disinnescarne il naturale potenziale erotico, per farne una mogliettina americana in pieno stile anni ’50.
Sì perché Norma/Marilyn è una bomba erotica naturale, forse anche suo malgrado. E persegue obiettivi erotici, come è erotica la sua continua sete di sapere, la disperata ricerca di amore e gratificazione da parte dell’Altro, il disperato desiderio di piacere.
È così che – in Blonde – la figura di Marilyn – che onestamente non so dire quanto specificamente si attagli alla reale vita dell’attrice – diventa emblematica del difficile percorso femminile nell’America anni ’50 (e forse non solo). Dove alle donne si chiede di essere principalmente belle, e poi remissive, e poi estatiche di fronte all’elemento maschile, sia nel privato sia nel pubblico. E invece Norma/Marilyn – portatrice involontaria di una bellezza deflagrante e di una personalità destabilizzante, come le streghe nel Seicento – vuole un ruolo, seppur confusamente.
Ecco come riuscirà a conquistarsi un ruolo
Alternando la massima insicurezza personale ad una inflessibile tenacia, che la porterà a studiare duramente le tecniche di recitazione più complesse e devastanti pur di raggiungere la desiderata perfezione. Sfruttando il suo corpo ma nello stesso tempo temendolo. Vendendosi e rivendicando sé stessa, avvoltolata in un groviglio di confusione e contraddizioni, riuscirà ad imporre una propria versione di sé che per qualche tempo convivrà con i suoi mostri personali, con una sfibrante tendenza allo sdoppiamento di personalità. Placando le proprie ansie e il proprio bisogno d’amore ingerendo pasticche di tutti i tipi e gettandosi in quasi ogni forma di dipendenza psicologica. Fino alla tragica fine.
Oates fa di questo romanzo una denuncia della condizione femminile negli USA del tempo. Ma Blonde è anche – come di solito avviene con quest’autrice – un atto di accusa nei confronti della società americana, del perbenismo innaffiato di sesso e alcol, della caccia alle streghe maccartista, della morale asservita al dio dollaro.
Il ritratto che ne emerge è potente e insieme disgustoso. E ovviamente non sono risparmiate anche le major cinematografiche, caratterizzate dallo sfruttamento indiscriminato delle maestranze e degli stessi attori, che diventano materiale umano più che persone. Un mondo agghiacciante fatto principalmente di maschi, cinicamente impegnati esclusivamente a trarre il massimo profitto da qualsiasi azione, e soprattutto a usare le donne come oggetti, di cui ci si sbarazza quando non servono più.
Sì, è un bel romanzo però…
Un bel romanzo con qualche sorpresa anche sulle circostanze relative alla morte di Marilyn, su cui non vi dico altro. Però… c’è un però. Devo ammettere che verso la metà Blonde secondo me presenta un vistoso calo di ritmo. Troppe parole, troppi concetti ripetuti. Credo che l’autrice avrebbe potuto e dovuto lavorare sulla sottrazione. L’indulgere continuo su alcune caratteristiche fisiche di Marilyn e anche su alcuni dettagli scatologici della sua vita personale, onestamente l’ho trovato un po’ eccessivo e spesso non esattamente funzionale alla narrazione. Sicuramente è servito a dare maggiore enfasi a certi concetti, però… per me non ce n’era così tanta necessità, ecco. Comunque, merita.