Il racconto delle mie avventure di lettore nel corso del 2022 si apre su uno scenario che qualcuno direbbe “di nicchia”. Mi riferisco ai libri al confine tra la lettura e la visione. Libri strani a pensarci. Nella narrativa la parola è tutto. Nei libri dedicati all’arte invece le parole sono in funzione dell’immagine che raccontano, spiegano e potenziano. La protagonista deve rimanere l’immagine, si tratti di un quadro, un disegno, un affresco, o una scultura…
Lauretta Colonnelli
Le muse nascoste
Giunti, 2018
Immaginiamo di entrare in una piccola galleria d’arte, nella quale sono esposte sedici opere (quindici dipinti e una scultura), provenienti da epoche storiche diverse (tra il ‘400 e il ‘900) e tutte di artisti molto noti. In ognuna compare una figura femminile particolarmente significativa per l’artista. Ad ogni tappa del percorso parte il racconto della nostra guida che, svelando identità e storia della “musa nascosta”, finisce anche per illuminare di luce nuova l’opera.
Sono storie intense, a volte dolorose, che segnano la vita dell’artista e si riflettono nelle sue creazioni: come quella di Marguerite, l’amata figlia di Matisse (“Il segreto del collare”) o quella di Josephine Nivison, bravissima pittrice costretta ad annullarsi come tale per fare la moglie e la modella di Edward Hopper. Tra le altre, vi compaiono anche le Muse di Bernini, Cézanne, Mantegna, Kandinskij, Balthus. Un libro originale e ben documentato, con un ricco apparato iconografico.
Chiara Frugoni (a cura di)
Pietro e Ambrogio Lorenzetti
Le Lettere, 2010
Tutta l’opera pittorica dei due famosi fratelli senesi, oggetto di approfondite riletture negli ultimi anni, è presente in questo libro, curato da Chiara Frugoni, grande studiosa medievista recentemente scomparsa, che per tutta la vita ha raccontato l’arte e l’iconografia del Medioevo.
Possiamo ammirare tante meravigliose riproduzioni degli affreschi e delle pitture su tavola, spesso riprese anche nei dettagli.
Chiara Frugoni sosteneva che “l’immagine parla” e i suoi libri sono pieni di illustrazioni bellissime che sono parte integrante di un libro mai pedante, né accademico, nella ricostruzione delle storie e nell’analisi delle opere.
Frutto di un’alta capacità divulgativa.
Autori vari
Ambrogio Lorenzetti
Silvana Editoriale, 2017
Non vi spaventi la mole, 514 pagine in grande formato, oltre 3 chili di peso… sì, non è il libro da leggere aspettando il bus. Si tratta del catalogo di un’importante mostra allestita a Siena nel 2017 e dedicata a un pittore tra i massimi del ‘300.
Fra i saggi contenuti nel catalogo, quello che mi ha colpito di più per originalità e acutezza di analisi è “La metafisica della luce” di Max Seidel – uno dei più grandi studiosi dell’arte italiana medievale e rinascimentale – e Serena Calamai. Attraverso una lettura iconografico-stilistica dei dipinti, i due autori si concentrano sull’innovativa regia luministica di Ambrogio.
Un catalogo d’arte, ça va sans dire, è più un’opera di consultazione che non un libro da leggere tutto di seguito e come tale lo uso anch’io, andando a leggere ora l’una ora l’altra delle piccole monografie che racchiude. Ma il fascino, e il pregio maggiore, del libro sta nelle riproduzioni che fanno vedere, anche attraverso ingrandimenti, quei particolari che paradossalmente non è così facile cogliere con tanta nitidezza osservando l’opera dal vivo.
Piccolo suggerimento pratico a beneficio degli appassionati d’arte.
I libri d’arte, si sa, sono piuttosto costosi, ma con un po’ di attenzione è possibile acquistarli a prezzi accettabili. Ad esempio, il libro di Chiara Frugoni, nella sua ristampa del 2010 costava 29,80 €. Dopo qualche anno, o perché intasava i magazzini o per non so quale altro motivo, l’ho trovato in offerta su Amazon a 8,50 €! Adesso è nuovamente salito intorno ai 25 €. Un discorso analogo vale per i cataloghi, che a distanza di qualche anno dalla prima pubblicazione, non è infrequente trovare al 50% di sconto.
William Styron
La scelta di Sophie
Traduzione di Ettore Capriolo, Mondadori, 2020
Passiamo ora alla narrativa. Capisco che cominciare da un romanzo che ha quasi cinquant’anni non è proprio in linea con la rubrica dei libri dell’anno, ma sono un lettore anomalo che si lascia tentare dal richiamo di una frase letta per caso, o da una citazione. E così sono capitato su questo libro. Sapevo che è anche un film con Meryl Streep (che non ho il coraggio di vedere dopo aver letto il libro).
Per chi non lo conoscesse, La scelta di Sophie, ambientato a Brooklyn nel 1947, racconta la tormentata e burrascosa relazione tra una donna polacca sopravvissuta ad Auschwitz e profondamente segnata da questo passato, Sophie, e un biologo ebreo, Nathan. Ma non è un libro sull’Olocausto, o meglio, non va ridotto a questa sola dimensione.
A narrare la storia è un vicino e poi amico dei due, l’aspirante scrittore Stingo (nel quale è adombrato lo stesso Styron), al quale Sophie racconta un po’ per volta, a folate di dolore e sensi di colpa, il suo tragico passato. Tema del libro è il male stesso, in una delle sue declinazioni più devastanti. Styron sente il bisogno di appoggiarsi a chi prima di lui ha cercato delle risposte alla presenza del male nella vita dell’uomo. Il libro infatti è carico, ma non per questo appesantito, di rimandi letterari e filosofici: da George Steiner a Simone Weil a Hannah Arendt e Richard L. Rubenstein, per fare solo qualche nome.
«Una volta terminati, i grandi libri devono lasciare il lettore esausto» ha affermato William Styron e con La scelta di Sophie ha centrato l’obiettivo. Il libro è duro, a tratti insopportabile, ma sorretto da una eccezionale capacità narrativa che riesce a far accettare anche quella che l’autore chiama “la mia abilità enciclopedica di dilungarmi all’infinito su un argomento”, che ha dato fastidio a qualche lettore, non a me. La scelta di Sophie mi ha fatto pensare a un altro potente e disturbante romanzo che mi aveva colpito molto e con il quale mi sembra abbia una sotterranea parentela. Le benevole di Jonathan Littell. Ma là, il “male”, irredimibile, era visto dall’altra parte.
Jonathan Franzen
Crossroads
Traduzione di Silvia Pareschi, Einaudi, 2021
Questo sì che è un romanzo di oggi. Ma, per una volta, non è un libro che consiglio. Mi ha infastidito che fosse un capolavoro annunciato già prima di vedere la luce. Forse anche per questo sono rimasto deluso e scottato. So di essere controcorrente, ma non capisco tutto l’entusiasmo che ha suscitato. Leggo imbarazzanti peana di scrittori italiani. Difficile trovare una voce critica.
Magari sono io che non l’ho capito, ma ho trovato davvero poco originale e tanto meno coinvolgente questa ennesima riproposizione della crisi della famiglia borghese americana, con tanti luoghi comuni e senza personaggi ai quali affezionarsi. E non parlo necessariamente di personaggi positivi.
Mi domando: avrà avuto qualche effetto sul mio giudizio il fatto che ho letto Crossroads a poca distanza da Marias (rilettura di Berta Isla e poi Tomas Nevinson) e da un McEwan (Miele) pur considerato minore, che ai miei occhi, l’hanno impietosamente rimpicciolito?
Jim Thompson
L’assassino che è in me,
Nulla più di un omicidio,
Traduzioni di Anna Martini
HarperCollins Italia, 2020 e 2021
I cultori del noir rideranno di me come scopritore dell’acqua calda. Ma la lettura di due romanzi di Jim Thompson mi ha fatto incontrare un autore che conoscevo solo di nome e che mi verrebbe ora da collocare nell’olimpo degli scrittori di noir degli anni ’50, accanto ai nomi più famosi.
Come avviene in quasi tutti i suoi romanzi, anche la storia agghiacciante de L’assassino che è in me è narrata in prima persona dal protagonista, un vice sceriffo di Central City, apparentemente dedito al suo lavoro di tutore della legge, che rivela a poco a poco una mente disturbata e criminale. La forza di Thompson sta, oltre che nella grande capacità di introspezione, in una scrittura essenziale: descrizioni asciutte, dialoghi secchi, nessuno spreco di parole. Senza dimenticare che è “un libro zeppo di dolorose ironie”.
“L’assassino che è in me è un classico americano, niente meno, un romanzo che merita uno spazio sullo scaffale accanto a Moby Dick, Le avventure di Huckleberry Finn, Fiesta e Mentre morivo”, parola di Stephen King nell’acuta prefazione al libro.
Valerio Varesi
Gli invisibili, Mondadori, 2019
La casa del comandante, Frassinelli, 2010
Sono solito inframmezzare a letture impegnative – nel corso di un anno sono passato per la Divina Commedia, I Guermantes (terzo volume della Recherche) e L’idiota – libri più leggeri da affrontare senza introduzioni, commenti e note. Così finisco quasi sempre nel territorio del giallo e sono capitato, dopo alcuni assaggi inconcludenti (ma quanti sono i giallisti d’Italia?), dalle parti della Bassa Padana intorno a Parma. Lì, lungo il fiume, tra le nebbie, ho incontrato il commissario Franco Soneri, in servizio lì da più di trent’anni.
Le storie che Soneri si trova a sbrogliare nei romanzi di Valerio Varesi, sono fortemente radicate nell’ambiente geografico, sociale e linguistico in cui si snodano e lo coinvolgono sempre intimamente. Il commissario non nasconde i suoi stati d’animo inquieti, anzi li fa entrare naturalmente, con pudore, nella narrazione, fino a renderli funzionali allo scioglimento dei misteri. Questo mix, che non è programmatico, è a mio avviso la chiave della riuscita, e del successo, dei romanzi di Varesi (leggi qui le nostre recensioni), oggi una delle voci più originali tra gli scrittori italiani, e non solo, di giallo.
Irene Borgna
Cieli neri
Ponte alle Grazie, 2021
Quanti tipi di inquinamento esistono nel nostro mondo? Forse l’inquinamento luminoso che “ci sta rubando la notte” è il meno conosciuto, ma ugualmente devastante per la nostra vita. Di questo parla il libro di Irene Borgna, non nella forma di un saggio o di un pamphlet, ma attraverso il racconto di un viaggio – è il caso di dirlo – al termine della notte.
“Una traversata dalle Alpi Marittime fino al Mare del Nord alla ricerca di luoghi dove la notte non è ancora stata del tutto soffocata dalle luci di strade e città”.
Tra una camminata al buio e una sosta sotto le stelle, Irene e il suo compagno Emanuele trovano il modo di documentare e discutere di un fenomeno sempre più diffuso e sottilmente inquietante.
Marilynne Robinson
Lila
Traduzione di Eva Kampmann, Einaudi, 2015
È il terzo volume di quella che è ormai una quadrilogia, ambientata nella cittadina immaginaria di Gilead. Un’epopea dell’anima che avevo già segnalato due anni fa e che mi offre l’occasione di tornare su Crossroads: la lingua batte dove il dente duole.
Trovo scritto infatti in un mio appunto: “Riandando per caso a qualche pagina di Lila proprio mentre sto leggendo Crossroads, non posso fare a meno di pensare alla “grossolanità” di Franzen, a come costringa i suoi personaggi dentro perimetri mentali (della “sua” mente) a fronte della libertà che respirano i personaggi di Marilynne Robinson. In ambedue i casi sono personaggi con un sacco di problemi. Ma ho l’impressione che Robinson li lasci andare per la loro strada, mentre Franzen li tiene sempre sotto il suo controllo”. Amen.