La prima donna che…
Spesso, quando viaggio, mi piace leggere qualcosa che sia ambientato nel luogo dove devo andare, per avere uno spunto di sensazioni, idee, profumi. Funziona sempre, anche se il libro che leggo è ambientato in epoche diverse dalla nostra. Un lungo fine settimana a Lecce mi ha portata quindi a scegliere La portalettere, romanzo d’esordio di Francesca Giannone, rientra nella mia personale collezione di libri che parlano de “la prima donna che…”
La storia inizia a Lizzanello, un piccolo paesino del Salento, nel 1934. Sulla polverosa piazza, deserta per il caldo di giugno, arriva una corriera dalla quale scendono Carlo Greco, giovane e piacente trentenne felice di essere tornato a casa, insieme alla moglie Anna, ligure, e il figlioletto Roberto di un anno.
Anna viene praticamente catapultata in un altro pianeta, sia per il clima, i colori, il dialetto sia, soprattutto, per il diverso modo di vivere delle persone e delle donne in particolare. Non a caso per tutta la sua vita lì – per i trenta anni in cui si dipana la storia – sarà soprannominata “la forestiera”. Resterà sempre quella venuta dal Nord, quella diversa, quella che non va in chiesa, quella che dice sempre quello che pensa.
Educata a una maggiore indipendenza, Anna non si piegherà mai alle modalità di vita delle donne del Sud, secondo le quali lei, maestra in Liguria, adesso dovrebbe limitarsi a fare la moglie di Carlo e la mamma di Roberto. Per lei è inaccettabile e infatti, resosi vacante il posto di postino del paese, fa la domanda e, complice il più elevato titolo di studio rispetto agli altri candidati, lo ottiene, scatenando l’ira di Carlo e le maldicenze del paese.
“Siamo seri. Non esistono portalettere donna”.
“Finora” disse Anna.
Il cognato Antonio
Anna è sicura di sé e va per la sua strada, coadiuvata in questo dal cognato Antonio, il fratello maggiore di Carlo, un uomo sensibile, dall’animo gentile, che si innamora di Anna dal primo istante in cui la vede.
Riuscirà a starle accanto con l’affetto di un cognato, e i due condivideranno la passione per i libri, altra cosa che agli occhi del paese risulta strana e un po’ ostica da digerire. I due, sottolineando e scambiandosi i capolavori della letteratura francese, inglese, russa e italiana, in una qualche maniera cementeranno un legame emotivo che aiuterà entrambi.
Antonio infatti ha un matrimonio di convenienza con Agata, una brava donna, lei sì figlia del suo tempo e del suo luogo. Agata è una moglie trascurata e una mamma tesa soprattutto a far sì che la figlia segua i dettami stabiliti dalle convenzioni. Lei ama Antonio, vuole bene a Carlo e, pur con un pizzico di diffidenza che non l’abbandonerà mai, impara ad accettare Anna e le sue “stranezze”, dalla faccenda del postino a quando mette su un banchetto per il voto alle donne, nel 1946.
Il personaggio di Agata mi è piaciuto molto…
Devo dire che il personaggio di Agata a me è piaciuto molto. Nonostante sia parecchio stereotipato nell’essere il contraltare di Anna, Francesca Giannone ha dato anche a lei una sfaccettatura caratteriale, una profondità emotiva che ha fatto sì che mi ci affezionassi.
La portalettere è un romanzo che ho amato molto perché racconta con grande approfondimento storiografico quel pezzo di storia del Salento, e del sud Italia in generale, attraverso gli occhi di chi ha vissuto in quel periodo.
La Storia con la S maiuscola è di sfondo, la vita quotidiana è quella che ti prende nel racconto, con i protagonisti che sviluppano un modo diverso di vivere l’amore. Sì, perché La portalettere è come se fosse un grande romanzo d’amore, con tutte le sfaccettature che questo sentimento comporta e che Francesca Giannone è riuscita a far vivere nei vari personaggi.
Ho parlato di Agata e di Antonio, ma c’è anche Carmela, la fidanzata di Carlo di quando erano ragazzi, sposata a un uomo molto più grande di lei per nascondere l’onta di avere un figlio fuori dal matrimonio. Ci sono Daniele e Lorenza, due ragazzi che lottano per affermare la loro individualità in un momento storico in cui – e Anna ne è la testimone – fare lavori gender fluid non era proprio in possibilità di discussione.
Anna Allavena, la prima postina del Salento
La particolarità de La portalettere è che Anna Allavena è esistita davvero, è davvero stata la prima postina del Salento, ed era la bisnonna dell’autrice.
In un’intervista Francesca Giannone ha raccontato che, mettendo a posto la casa durante la quarantena, insieme alla mamma, ha trovato il biglietto da visita della sua bisnonna, insieme ad un sacco di altro materiale che l’hanno fatta immergere nell’atmosfera di Lizzanello di questi anni. Da lì, dice, ha preso spunto per il suo libro.
Lizzanello esiste davvero, è un paesino subito fuori Lecce e io nel mio giro nel Salento sono stata a visitarlo. Nella foto c’è la palma, ma sarà la pronipote di quella descritta ne La portalettere 😊
In realtà, come ci spiega bene la Giannone nei ringraziamenti, la descrizione del paese fatta nella storia è un po’ la somma di vari borghi del Salento, proprio come Vigata per Montalbano nella fiction RAI.
Da ciascuno di essi ho preso uno scorcio, per restituire al meglio che potevo il paesaggio e l’atmosfera del territorio.
Se è vero che Anna Allavena era la sua bisnonna ed è stata la prima postina del Salento, così come Carlo e i suoi familiari sono esistiti davvero, invece…
Gli abitanti del paese sono frutto della mia fantasia […] e le vicende della famiglia Greco sono state modificate e rimaneggiate […] La storia che racconto non è la loro.
La saga che incornicia la storia di Anna è invenzione narrativa
La finzione narrativa è fondamentale per rendere le storie quotidiane più accattivanti. Secondo me il fatto che la saga che incornicia la storia di Anna, la portalettere, sia di fantasia non toglie minimamente l’importanza che lei ha rivestito come figura nella Lizzanello degli anni ’30.
I ringraziamenti si chiudono con le parole che Anna Allavena ha pronunciato e che vengono ricordate all’autrice dalla mamma (quindi dalla nipote di Anna): “Non voglio essere dimenticata”.
E Francesca, grazie a questo libro, ha fatto in modo che il ricordo della bisnonna resti sempre vivo.
Anche se Anna prepara sempre il pesto e, da brava ligure, si è pure portata i semi di basilico a Lizzanello, io vi voglio raccontare di un altro piatto che viene in continuazione citato ne La portalettere: il pasticcio di carne che prepara Agata. In Salento è noto come Pitta. Ce n’è una versione più comune che si trova in giro per tutte le rosticcerie ed è di patate, quindi vegetariana. Invece io vi passo la ricetta della pitta di carne, per rendere omaggio a quello che, come dicevo, è stato uno dei miei personaggi preferiti.
Pasticcio di carne di Agata
750 gr di polpa di vitello
200 gr di pangrattato
150 gr di pecorino
2 cucchiai di prezzemolo tritato
Un poco di vino rosso
2 uova
Olio EVO
Sale
Pepe
Pangrattato
½ bicchiere di latte
1 mozzarella piccola
La scorza grattugiata di un limone
In una ciotola impastate la carne con tutti gli altri ingredienti elencati, fino al pepe.
Ungete il fondo e le pareti di una teglia, poi cospargetele di pangrattato e sistematevi metà del composto di carne. Versate il latte e sistemate la mozzarella tagliata a fettine. Cospargete con la buccia di limone, poi fate un altro strato con il composto di carne rimanente.
Mettete nel forno, preriscaldato a 180°, e cuocete finché non si è formata una crosticina croccante: ci vorrà circa un’ora. Servitelo caldo tagliato a pezzi.