Una villa sperduta in mezzo alla campagna
La location è una villa, in mezzo alla campagna, là dove non è più Emilia ma non è ancora Romagna. Un ambientino che profuma di Strategia del ragno e, ancora di più, di La casa dalle finestre che ridono, prima ancora che succeda qualcosa.
Ma quando il notaio Flavio Aragona e la sua assistente Letizia Migliavacca si presentano per inventariarne il contenuto, è semplicemente morta la proprietaria, Adalgisa Grisenti. Morta per cause naturali, non prematuramente e soprattutto non rimpianta da nessuno. Anzi, suscitando anche un certo piacere, perché lascia una cospicua eredità, solo che bisognerà dividerla tra una miriade di parenti. Questi, però, già non si potevano vedere prima, figuriamoci adesso. Diventa quindi obbligatorio far passare la spartizione per le procedure di legge e, da qui, la presenza del notaio.
Il notaio e la sua assistente
Il notaio e l’assistente devono chiudersi dentro la villa e non possono né uscirne né far entrare qualcun altro finché l’inventario non sarà terminato. Il lavoro va fatto il più rapidamente possibile, si può dire senza pause, tolte quelle indispensabili per cibo e sonno.
La villa porta il nome un po’ pomposo di Olimpia d’Arsa, è sperduta in mezzo alle campagne e il posto più vicino è un paesello dimenticato da Dio e dagli uomini. I contatti con i pochi abitanti evidenziano solo che pure i compaesani detestavano la vecchia Grisenti, compresi i suoi stessi domestici. Fortuna che il lavoro sembra facile, magari un po’ noioso, ma niente di più.
Invece, quasi dall’inizio, sembra che qualcosa non vada per il verso giusto. Innanzitutto, la vecchia ha nascosto ben bene i suoi tesori e per tirarli tutti fuori occorre perdere un bel po’ di tempo. Poi, sia Flavio sia Letizia hanno continuamente una sensazione sgradevole, come se ci fosse qualcun altro in giro per la proprietà a spiarli.
In realtà, ci sarebbe Zora, il vecchio cane che Letizia si è portata dietro: ma non basta a spiegare certe incongruenze tra le situazioni che si lasciano e quelle che si ritrovano nei vari ambienti. Differenze minime, certo, che però sono pur sempre delle differenze. Per cui, dopo un po’, Flavio e Letizia si convincono che deve esistere un altro mazzo di chiavi oltre a quelli già inventariati e probabilmente qualcuno ne sta facendo uso anche mentre sono presenti loro.
C’è poi anche il rinvenimento di alcuni oggetti la cui presenza appare del tutto incongrua con il resto e con la vita di una donna anziana e sola. Per la verità, Flavio non se ne dà molto pensiero, è solo Letizia a esserne ossessionata, anche perché le ricordano dei casi di cronaca nera, benché questi risalgano a circostanze non vicine nel tempo e neppure nello spazio.
I due protagonisti de L’ultimo ospite non potrebbero essere più diversi
Uno degli elementi più caratterizzanti del romanzo è appunto il contrasto tra i due protagonisti, ma sebbene i due appaiano diversissimi l’uno dall’altra, sono molto legati tra loro.
Prossima alla mezza età, d’aspetto insignificante reso sgradevole da “quaranta chili di troppo”, un vissuto frustrante e doloroso alle spalle, Letizia ha la capacità di estraniarsi dalla realtà. Riesce a viverla e ad esaminarla con la lucidità di chi la osserva senza esserne coinvolto, diventando letteralmente un’altra persona.
Più giovane, abituato ai successi ma da qualche tempo incline a preoccupazioni e malinconie, fascinoso ma decisamente frigido, metodico nello scegliere sempre la soluzione più razionale, è Flavio. Letizia ama Flavio più di qualsiasi altra persona al mondo, Flavio si sente responsabile per Letizia e per ognuno dei due la presenza dell’altro è imprescindibile.
Man mano che la trama si sviluppa, con un ritmo che sembra a prima vista lento ma in realtà serve a caricare la molla della tensione facendo crescere nel lettore il senso di attesa, le incongruenze e i sospetti si moltiplicano. Per cominciare finalmente a dipanare la matassa, saranno necessari un paio di cambi di prospettiva nella narrazione.
L’ultimo ospite
L’ultimo ospite, uscito con Piemme nel 2021, è un romanzo concepito come un feuilleton, nel quale ogni capitolo segue il precedente risolvendolo con un anticlimax e poi procede fino a terminare in un nuovo climax, che il prossimo capitolo risolverà in un nuovo anticlimax. Questo, ovviamente, fino allo sviluppo terminale, in cui ci sarà una decisa accelerata del ritmo e una corsa verso il climax decisivo.
Paola Barbato, da provetta sceneggiatrice di Dylan Dog, si muove del tutto a suo agio tra porte che si chiudono da sole, luci che si spengono all’improvviso, scricchiolii e correnti d’aria che segnalano la presenza di tutto e di niente. Forse, va detto, a un certo punto, esagera un po’, nel senso che il romanzo comincia a sembrare troppo lungo. La continua ricerca dell’effetto subliminale che metta la tremarella addosso ai lettori più impressionabili, dopo qualche centinaio di pagine, comincia a sembrare stucchevole, perché la trama è perfettamente in grado di procedere anche senza. Infatti la soluzione sarà limpida, logica e coerente con tutto il resto. E soprattutto chiarirà definitivamente che L’ultimo ospite è un thriller scritto come un horror, ma non un horror.
Siamo però distanti dai modello principe del thriller narrato come un horror, ossia La casa dalle finestre che ridono. Forse, se non fossimo nella Bassa, potremmo trovare un riferimento colto più vicino, nel bel romanzo di John Boynton Priestley che negli anni ’50 ebbe perfino due edizioni italiane, prima di finire nel dimenticatoio: Benighted (da noi: La casa nella tempesta).
Il genere “misteriose presenze in case isolate”
Un romanzo ricordato solo per aver ispirato il piccolo capolavoro di James Whale, The Old Dark House (1932, in Italia Il castello maledetto). Il film, che si avvale della presenza di Boris Karloff, Charles Laughton e altre star, è un precursore del genere “misteriose presenze in case isolate”. Ritenuto perso per decenni e poi fortunosamente recuperato e restaurato, nel 2010 si è piazzato al 71° posto in un sondaggio tra addetti ai lavori nella classifica dei migliori 100 film horror di sempre.
Va detto però che il romanzo di Priestley non nasce come horror ma per affrontare il tema della difficoltà a tornare alla vita normale da parte di una generazione sconvolta dall’esperienza della Grande Guerra (risale infatti al 1927). Questo risvolto era difficile da conservare nel film.
Lo spessore dei personaggi di Priestley, a livello di horror, si ritrova solo in certi romanzi di Shirley Jackson. Ed è difficile pensare che Paola Barbato, a sua volta, nel dar vita a Flavio e soprattutto a Letizia, non abbia pensato neppure una volta a L’incubo di Hill House.