“Ho letto questo libro e mi è piaciuto così tanto che ho deciso di regalartelo. Devi leggerlo.”
Gli Effinger di Gabriele Tergit è uno di quei rari romanzi che si sente il bisogno di condividere, come i ricordi di famiglia, perché non si perdano con le generazioni. E di generazioni, tre per la precisione, parla questo romanzo. Il tempo che scorre lineare e di tanto in tanto si ripete, fissando delle istantanee indelebili. Il sottotitolo dell’edizione italiana, Una saga berlinese, sancisce che questo libro è indubbiamente una saga familiare come il suo modello ispiratore, I Buddenbrook di Thomas Mann.
Ma è anche profondamente berlinese, nell’ambientazione minuziosamente ricostruita e soprattutto nello spirito. Fra le pagine de Gli Effinger (edito da Einaudi) emergono infatti tutta l’operosità, la colta intelligenza e l’arguta ironia della buona società di Berlino a cavallo fra Ottocento e Novecento.
Settant’anni di storia della Germania
La Tergit apre il suo romanzo nel 1878 e lo chiude nel 1942, dipanando davanti ai nostri occhi la storia della Germania e di due famiglie ebree, gli Effinger del titolo e i Goldschmidt. Si va dagli anni di Bismark all’avvento del nazismo, passando per la tragedia della Prima Guerra Mondiale e Weimar. Settanta anni in cui cambiano la società, i confini, il capitale, il regime politico e persino i sogni.
Al centro la dualità fra la solida ricchezza dei banchieri Goldschmidt, sempre cauti con i loro investimenti, e i pionieristici imprenditori Effinger. L’etica borghese del duro lavoro e della moderazione porta Paul Effinger e suo fratello Karl dalla natia Kragsheim, dove il padre è orologiaio, alla capitale. I due fratelli Effinger finiranno per avviare una fabbrica moderna e di successo per poi sposare due sorelle Goldschmidt, unendo così i destini delle due famiglie.
Le loro case a Berlino
Nel corso del romanzo, la metropoli e il paesino nel sud della Germania rappresentano i due poli di una nazione in bilico fra un passato romantico e cristallizzato e un futuro impaziente e impietoso. A Berlino le case dei vari membri delle due famiglie allargate ripropongono in scala questa oscillazione tra la prosperità affermata dei Goldschmidt e il patrimonio costantemente investito nell’azienda da Paul Effinger.
I valori liberali e progressisti del 1848, incarnati nella figura di Waldemar Goldschmidt, intellettuale raffinato e complesso, si affiancano così al capitalismo “sano” di Paul Effinger. Un uomo sempre pronto a rimboccarsi le maniche e a garantire ai suoi dipendenti le migliori condizioni di lavoro possibili. Ma in questo affresco c’è spazio, come nella vita, per ogni sfumatura e per le storie di tanti personaggi, tutti notevoli, mai banali, mai prevedibili, realistici e al tempo stesso ritratti con una sapienza letteraria impressionante.
Fra le quasi 900 pagine de Gli Effinger troviamo quindi il già citato Waldemar, che pur non credendo rifiuta di convertirsi al cristianesimo per una questione di integrità e onestà. Ma anche l’eccentrica Sofie che si scopre artista e che coltiva sogni romantici fuori tempo massimo, o l’inetto Herbert che sarà costretto ad emigrare in America. E ancora, Amalie Mayer che “sfiora” Paul – i due passeggiano, parlano, prendono un caffè – ma lei rifiuterà di sposarsi e finirà con l’impegnarsi nel sociale. Infine Lotte che passa dai banchi dell’università al palcoscenico…
L’idea positivista di una crescita costante
Intorno a loro, una società in evoluzione. L’idea positivista di una crescita costante viene messa in crisi definitivamente dalla Prima Guerra Mondiale, lasciando nella società grande incertezza morale oltre che povertà.
“Dopo cinquant’anni di lavoro educativo della socialdemocrazia, non volevano sentir parlare d’altro che del buon ufficiale che provvede alla sua gente, dell’uomo ricco che cede il suo mantello, della ragazza povera che sposa il principe azzurro. E delle violette che fioriscono a primavera.”
Il terremoto causato dalla guerra, con il suo carico di morti e sfiducia nella classe dirigente, lascia spazio a una crescente insoddisfazione che apre la porta alla dittatura. Gli ebrei, che a Berlino sono parte integrante della società, diventano mano a mano il bersaglio delle inquietudini sociali.
“In conclusione tutto finisce in antisemitismo”
Come sintetizza Lotte, la figlia di Paul che rappresenta la generazione della Tergit stessa e che ha molto in comune con la scrittrice, “in conclusione tutto finisce in antisemitismo”. Tutto quello che a inizio lettura era appropriato e desiderabile, alla fine appare poco più di una superflua illusione.
Le dimore, prima descritte minuziosamente, vengono salutate nell’ultimo capitolo quasi a volo d’uccello, diventate ormai gusci vuoti privati della loro anima ovvero delle persone, spazzate via dal nazismo.
Gli Effinger è un affresco di due epoche, di due mondi diversi che hanno saputo fondersi in uno ma non resistere e reagire al terzo, quello successivo. La grandiosità di questo romanzo è nel far comprendere come si sia passati dall’una all’altra, senza soluzione di continuità, ineluttabilmente. E lo fa descrivendo la quotidianità e il sentire individuale che rielabora quello di una società intera.
La prosa vibra di descrizioni minuziose e di subitanei lirismi, di approfondita psicologia e di ritmo narrativo perfetto. I capitoli sono brevi, avvincenti nella descrizione di scene acutamente selezionate, a volte anche solo un dialogo, proprio come delle istantanee. La narrazione è spedita, capace di condensare mesi in un capoverso con uno stile quasi cinematografico di montaggio e alternanza fra le vicissitudini dei singoli personaggi.
Sorprende pensare che la Tergit, navigata giornalista ebrea, emigrata per tempo in Inghilterra, abbia avuto difficoltà a pubblicare questo romanzo e che siano dovuti passare decenni prima che decollasse a livello di vendite. Forse a spaventare era la lunghezza, sebbene mitigata da una scorrevolezza invidiabile?
O non era piuttosto il suo nucleo fortemente etico, il suo guardare in faccia l’animo umano e quello di una nazione descrivendone l’essenza, fatta di bene e di male, di grottesco e di poetico?
Gabriele Tergit ha in ogni caso creato un classico che, come tutti i classici, suona profetico nella sua modernità, capace com’è di fissare sulla carta un periodo e un luogo ben precisi e renderli sempre contemporanei e universali. Gli Effinger è insomma un romanzo bellissimo, dovete leggerlo.