L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi
“Un buon pastore è il tesoro più grande che Dio può dare a una parrocchia”. Santo Curato d’Ars
L’anomala avversione di Tonino per i ceci, lui è siciliano, e per i polacchi, non ne ha mai incontrati, è chiarita fin dalle prime pagine del romanzo. Sintetizza, nella mente di un bambino di sette anni, il dolore sordo per la perdita della madre e la nausea sconvolgente per le attenzioni morbose di un prete. Questa esperienza devastante, che dovrà affrontare in solitudine, lo renderà prigioniero di un terribile segreto che lo segnerà, forse per la vita, sicuramente nella turbolenta adolescenza.
Le inchieste sulla pedofilia nel mondo ecclesiastico
Giovanni Di Marco, giornalista esperto nel campo sportivo e lettore appassionato, segue con spirito critico e impegno civile, da circa dieci anni, le inchieste sulla pedofilia nel mondo ecclesiastico, raccogliendo in un manoscritto le sue ricerche.
Esordisce come scrittore elaborando un romanzo di formazione che si ispira alla ricerca fatta e che sviluppa i temi che più gli stanno a cuore. Immagina una storia verosimile che affonda le radici in documenti ufficiali e accompagna il protagonista nella sua crescita, lungo l’adolescenza, lasciando aperto l’epilogo.
La durezza e la scabrosità dell’argomento trattato scuotono le coscienze ma L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi (edito da Baldini+Castoldi) non è un libro contro i credenti, contro la fede, contro Wojtyla o Ratzinger, bensì una denuncia del silenzio assordante della Chiesa di Roma e delle scelte fatte nei secoli e in tempi recenti. Fino all’anno 2000 la pedofilia era considerata un peccato e non un crimine. Non doveva essere denunciata agli organi di polizia, pena la scomunica anche per le vittime, come stabilito nel documento Crimen sollicitationis che sanciva come comportarsi in questi casi e che metteva al primo posto l’assoluta segretezza.
L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi
Una storia che non fa sconti a nessuno
Il romanzo vuole essere, nelle intenzioni dell’autore, un invito all’assunzione di responsabilità da parte della Chiesa e non solo, attraverso la narrazione di una storia attuale che non fa sconti a nessuno.
Ambientato in Sicilia, il racconto di Giovanni Di Marco si sviluppa con estrema leggerezza nonostante il tema trattato e narra degli anni Ottanta in un piccolo centro del palermitano, fra numerosi personaggi e situazioni. Centrale e imprescindibile, nel romanzo, è il Bar della Gioventù, luogo di raccolta per i maschi di tutte le età, dove è possibile trovare ogni giorno una copia del Giornale di Sicilia. Dove si legge, si parla e si scommette quasi esclusivamente di calcio e dove Tonino si sente importante perché legge molto bene il giornale, anche agli altri, e sa discutere con competenza di calcio e calciatori.
Anche la vita sociale delle donne è raccontata con lievità: le chiacchiere, il gossip tagliente, gli scambi di cortesie secondo le regole e le routine del buon vicinato, le emozionanti trasferte a Palermo per compere e incontri speciali. La solidarietà è molto sentita nella piccola comunità. È espressa con toni un po’ rozzi ma diffusa fra i paesani, sempre pronti a scusare le intemperanze giovanili, anche quelle plateali e gravi.
Il diavolo in tunica nera
Un palcoscenico sostanzialmente accogliente e protettivo dove un bambino può sgambettare in sicurezza finché, con gli occhi sgranati e impauriti di un cucciolo abbandonato dalla madre, Tonino non sarà costretto ad affrontare il suo mostro: padre Alfio, “il diavolo in tunica nera”, il criminale pedofilo seriale, il vigliacco che sceglie le sue vittime fra i fragili e gli emarginati.
Il protagonista narra la storia in prima persona, con lo stupore e l’ingenuità commoventi del bambino, nella prima parte del romanzo. Con la crudezza e il cinismo del racconto di un quasi adulto, nella seconda.
Tonino trova rifugio nel Bar della Gioventù e nelle sue passioni: le partite di calcio scalcagnate con i coetanei, la collezione e il baratto delle figurine di calciatori, un fresco gelato Camillino appena possibile. Il calcio non è solo una passione ma uno spazio enorme, situato fuori e dentro di sé, in cui Tonino scorrazza libero isolandosi dalle paturnie e dal resto del mondo.
I momenti difficili, le speranze, i progetti, gli incontri con gli amici si svolgono, nascono o hanno epilogo tutti in quel bar, un luogo dell’anima. Tutto il romanzo ha per sfondo, come colonna sonora e dietro le quinte, le narrazioni mitologiche dei grandi calciatori, i pronostici, la telecronaca dei momenti salienti di alcune partite, la serata dei mondiali.
Nel baretto di Castelverde, quasi fosse una enorme vetrata, si accendono come flash le storie di vita e le novità del paese mentre, in controluce, scorrono le immagini di tutta l’infanzia e dell’adolescenza di Tonino.
Altro luogo dell’anima è la casa di Tania, la vicina della zia di Tonino che ospiterà il nipote dopo la morte della madre. È Tania, la vicina che lo accoglie tra le sue braccia e lo cura amorevolmente. Diventerà quasi una seconda mamma offrendogli sostegno e insegnamenti di vita, credendo in lui e impegnandosi a vendicarlo. Ma neanche con lei la catena di sopraffazione, che è germinata dagli abusi subiti, si spezza.
L’epistolario di Tania e del fratello, monaco benedettino
Accanto alla storia di Tonino, si sviluppa e si intreccia l’epistolario di Tania e di suo fratello, monaco benedettino in un convento austriaco che fu diretto per molti anni dal chiacchierato padre Groër, amico di Wojtyla. Questo espediente letterario lascia integro nella sua freschezza e semplicità il racconto delle vicende di Tonino, non trascurando la dura denuncia.
Pro e contro
L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi induce a riflettere in modo efficace sull’argomento scabroso per eccellenza, spesso volutamente sottaciuto perché turba le coscienze. Giovanni Di Marco invece, coraggiosamente e con appassionata determinazione ha voluto approfondirlo. Nella seconda parte del libro, si è soffermato a lungo ad illustrare alcune delle possibili conseguenze che le violenze producono nella mente e nella vita delle giovani vittime. La narrazione, però, ne ha perso in ritmo e in compattezza.