“Cinque vagabondi, di quelli che vivono sui marciapiedi, giacciono morti sul ciglio di Inner Ring Road, a Delhi. Sembra l’inizio di una barzelletta di cattivo gusto. Se lo è, nessuno glielo ha detto. Sono morti dove dormivano. O quasi. È febbraio. Le tre del mattino. Ci sono sei gradi. Quindici milioni di anime stanno ancora dormendo”.
L’incipit detta subito un ritmo adrenalinico, per un libro – scritto in maniera asciutta, senza concessioni folkloristiche – che non è facile dimenticare. Deepti Kapoor, a lungo giornalista nella capitale indiana, ci ha regalato un piccolo capolavoro, il primo di una trilogia molto attesa (è stata venduta in 35 paesi, dopo un’asta definita tra le più contese di sempre nel campo dell’editoria) che presto inevitabilmente vedremo anche in streaming.
Qualcuno ha definito le oltre seicento pagine – ma non preoccupatevi della lunghezza, vanno via che è una bellezza – de L’età del male (edizioni Einaudi) come una specie de Il padrino rivisitato al curry. O anche una Succession – la clamorosa serie televisiva di HBO – trasferita da New York a Nuova Delhi.
La cosa certa è che L’età del male, come da tradizione della migliore letteratura noir, ci fa capire qualcosa dell’India, un mondo che conosciamo poco. Lo fa attraverso le vicende ambigue e pericolose della potentissima famiglia Wadia, a capo di un impero basato sulla corruzione e la speculazione edilizia. Una sorta di romanzo criminale sulla disuguaglianza e l’avidità umana, vissuto quasi in apnea dai villaggi ai piedi dell’Himalaya fino alle feste esclusive della capitale. Tra la brama di potere dei politici e le speranze inevitabilmente disattese di chi occupa gli ultimi posti della società indiana.
In una nazione dove trovano grande spazio la sopraffazione – fisica o solo psicologica – e la corruzione, i protagonisti non possono che indossare caratteri sfumati, in bilico tra dignità e perdizione. Come Sunny Wadia, il rampollo destinato a ereditare da un padre molto ingombrante i segni del comando della famiglia. O la bella giornalista Neda, fino ad Ajay, il personaggio più riuscito del libro. Di famiglia poverissima, lavora per Sunny come utilissimo tuttofare, autista, guardia del corpo, anche vittima sacrificale, se serve.
«Da giornalista ho raccolto tante storie che aspettavano solo di essere scritte – ha detto recentemente la quarantatreenne autrice, che ora abita in Portogallo godendosi il suo ricco anticipo. Si parla di una cifra tra i 4 e i 6 milioni di dollari… – Ho frequentato un gran numero di potenti e ricchi giovani indiani. Ma nel libro non volevo interessarmi solo dei pochi privilegiati del mio Paese, volevo narrare anche della corruzione, dell’estrema ineguaglianza che domina l’India, di un certo capitalismo gangsteristico».
Traguardo ampiamente raggiunto. E ora aspettiamo la seconda puntata della saga criminale dei Wadia.