Che la narrativa thriller sia dominata dall’archetipo del serial killer e che il pubblico sembri non averne mai abbastanza è un dato di fatto difficilmente confutabile. Ma forse cominciano ad averne abbastanza gli autori stessi, quelli che certe storie le scrivono, o almeno qualcuno di loro. Si percepisce infatti una certa insofferenza alla base della decisione di Franck Thilliez di scrivere un romanzo come Il manoscritto, che da un lato segue fedelmente le regole del genere ma da un altro sembra volerle sovvertire.
Il manoscritto viene presentato come una metanarrazione, ossia come la presentazione di un’opera letteraria che non esiste nella realtà. Un espediente utilizzato con successo anche da autori importanti – basti pensare a Borges o a Nabokov – nell’ambito di opere notevoli. Stavolta, però – come spesso accade quando la metanarrazione interessa la narrativa di genere – l’opera in questione è incompiuta. Non ha un finale, o, per meglio dire, ce l’ha ma è un finale aperto. Così, lo stesso io narrante che aveva spiegato il perché dell’incompiutezza dell’opera si inventa anche curatore e scrive un altro finale, non alternativo ma complementare a quello originario.
Il meta-thriller
Il libro parte dall’introduzione firmata da J.-L. Traskman, in cui spiega che quasi tutto il testo è stato redatto da suo padre, il famoso autore di thriller Caleb Traskman. Caleb però, a un certo punto, sconvolto dalla malattia e dall’agonia della moglie, non è più riuscito a scrivere le ultime pagine, è caduto in depressione e dopo qualche tempo si è ucciso. Di concerto con la editor che aveva sempre seguito il padre, J.-L. ha completato il romanzo. Quindi, viene avvertito il lettore, che verso la fine si potrà notare una sorta di cesura narrativa e stilistica.
La trama de Il manoscritto, almeno all’inizio, si snoda come quella classica del romanzo di serial killer. Salvo poi complicarsi in modi spesso imprevedibili man mano che l’intreccio si sviluppa. È come se l’autore, dopo aver creato due figure di detective estremamente perspicaci – un poliziotto e una scrittrice – si diverta a metterli alla prova in circostanze sempre più contraddittorie, utilizzando tutte le modalità di indagine tipiche del genere anche se in modo talvolta un po’ beffardo.
La vicenda prende l’avvio nell’inverno del 2014 quando, in un piccolo paese costiero flagellato dai venti e dalle piogge del Pas-de-Calais, una ragazza diciassettenne scompare mentre torna a casa da una corsa di allenamento.
Quasi quattro anni dopo, in Savoia, circa 800 chilometri a sudest, un ragazzo che ha rubato un’auto a una stazione di servizio, tenta di forzare un posto di blocco. Perde il controllo del mezzo e finisce in un burrone, morendo ucciso sul colpo. I poliziotti intervenuti sul posto, aprendo il portabagagli, vi trovano dentro il cadavere sfigurato di una donna senza mani e un paio di mani che risulteranno appartenere a un’altra donna.
Più o meno nello stesso periodo, il padre della ragazza scomparsa al Pas-de-Calais, che non ha mai smesso di cercarla, viene aggredito e ferito alla testa. Al risveglio, si ritrova in preda a una grave amnesia.
Il poliziotto
Sul macabro ritrovamento all’interno dell’auto precipitata nel burrone indaga una squadra di poliziotti della quale fa parte Vic Altran. E’ un uomo che soffre di ipermnesia, che sarebbe la capacità involontaria di conservare ricordi quasi sempre totalmente inutili.
La beffa è che, oppresso dalla tensione di una quotidianità disastrata (pessimi rapporti con la famiglia, lavoro insoddisfacente, dolorosa separazione, conflitto con la figlia adolescente) e dalla mancanza di riposo, Vic dimentica facilmente ciò che deve fare e questo gli complica ulteriormente la vita.
Eppure, un po’ di quei ricordi inutili che accumula dall’infanzia gli torneranno utili per comprendere i “messaggi in codice” nascosti dietro ogni delitto, che invece agli altri appaiono incomprensibili.
La scrittrice
Sull’aggressione all’uomo sofferente di amnesia, indaga invece la polizia locale, ma con molta meno sollecitudine. C’è però Léane Morgan, la moglie dell’uomo aggredito e madre della ragazza scomparsa quattro anni prima, che indaga seriamente sul fatto.
Léane è un’ex insegnante che ha raggiunto il successo scrivendo thriller firmati con lo pseudonimo maschile di “Enaël Miraure”. Il suo matrimonio è andato in crisi dopo la scomparsa della figlia. Anche se lei e il marito vivono ormai separati, Léane sa che Jullian non ha mai smesso di cercare la ragazza, e pensa che sia stato aggredito proprio per questa ragione.
Il serial killer
Il trait-d’union fra le due indagini sta nella figura di Andy Jeanson, arrestato e detenuto come serial killer di giovani donne. Si ritiene che sia stato lui a rapire e uccidere Sarah, la figlia di Léane e Jullian. E le condizioni delle spoglie ritrovate all’interno della macchina precipitata nel burrone fanno pensare a un modus operandi molto simile, se non identico, al suo. Andy Jeanson però è in carcere: ha trovato dunque un emulo?
Bisogna anche considerare che Andy Jeanson, pur avendo ammesso i delitti di cui è accusato, ha fornito versioni contraddittorie su come si sarebbero consumati. E pur riconoscendo che Sarah è stata tra le sue vittime, a differenza degli altri casi non ha mai fornito indicazioni per trovare il corpo.
Con tutte queste premesse, è inevitabile che il romanzo risulti avvincente. Lo è anche grazie alla scansione in capitoli brevi ma non brevissimi, in cui seguiamo alternativamente le due indagini che sorprendentemente non confluiranno in una sola narrazione. Da un certo punto in poi, le due storie scorreranno parallele e si incontreranno solo brevemente e in modo quasi casuale.
L’incompiutezza di Thilliez
Franck Thilliez, anziché creare personaggi stereotipati che risultino immediatamente riconoscibili agli amanti del genere, preferisce che conservino qualche lato oscuro, magari innocente ma comunque tutt’altro che chiaro.
La formula del manoscritto incompiuto gli permette anche di lasciare in sospeso alcune questioni non del tutto secondarie, come quella della vicenda che emerge dal passato di Léane mentre lei è impegnata nelle indagini. Non si ha proprio idea di come andrà a finire: Caleb Traskman non l’ha conclusa e J.-L. Traskman si è impegnato solo a concludere la storia principale.
Lo stesso vale per il destino di alcune figure non trascurabili che emergono via via durante la narrazione. In tal senso, potremmo dire che Il manoscritto è davvero incompiuto. Questa però è una sensazione che si prova solo in seguito, ripensandoci, perché mentre si procede la lettura è molto coinvolgente.