Piccole donne – 12 episodi, Netflix, 2022 – è una serie molto intrigante, a tratti trascinante, che non vedi l’ora di scoprire come va a finire. Come spesso capita nelle serie coreane, vengono trattati temi super interessanti. Il suo difetto è che in certi punti non è proprio plausibile. In realtà è una favola nera, piena di colpi di scena, svolte improvvise e continui ribaltamenti nella lotta tra bene e male, con risoluzioni credibili quanto una vincita alla lotteria. Eppure guardarla è un piacere. Forse è quello che si definisce un guilty pleasure?
Thriller psicologico e serie di formazione, il k-drama Piccole donne è la storia di una delle più ricche e potenti famiglie di Seul e di una delle più povere, composta da tre sorelle.
Scopriamo che c’è una strana associazione segreta chiamata Jeongran Society, legata a un’orchidea blu. Non è tanto chiaro quale sia l’intento della setta dell’orchidea; di fatto è un’associazione segreta criminale che risolve ogni cosa con la violenza.
A capo della setta c’è Park Jae-sang (Um Ki-joon) – candidato e probabile prossimo sindaco di Seul – insieme alla moglie, la melliflua Won Sang-a (Um Ji-won).
Le tre sorelle si trovano invischiate nei loschi affari di questa ricchissima famiglia. La storia parte con il misterioso suicidio di Jin Hwa-young (Choo Ja-hyun), migliore amica della maggiore delle tre sorelle. Dopo la sua morte si scopre che era ricchissima.
I poveri
Il problema della povertà è centrale in Piccole donne e questo è molto interessante perché è un tema che da noi non viene quasi mai sfiorato. Essere nati poveri è una condizione esistenziale che suona come una condanna, una vergogna, quasi una colpa.
In casa delle ragazze c’è un viavai di formiche e non possono lasciare la finestra aperta sennò entrano i topi. C’è un continuo confronto fra povertà e ricchezza, fra le diverse opportunità che lo status sociale consente. La povertà delle tre sorelle sembra un’onta di cui si sono macchiate.
La sorella maggiore
Ma si comincia subito con un ribaltamento perché la sorella maggiore, In-joo (Kim Go-eun, già protagonista di The King: Eternal Monarch ), riceve dalla sua migliore amica suicida la somma esorbitante, anche se non del tutto lecita, di due miliardi in contanti (circa un miliardo e mezzo di euro). Pare che si tratti di fondi neri.
Il titolo Piccole donne mi è parso strano ma non ho minimamente colto il riferimento perché davvero non c’entra niente con il romanzo della Alcott. Invece sembra che sia una sua libera rivisitazione. In quanto a similitudini non si va oltre al fatto che ci sono tre sorelle, anche se nel romanzo sono quattro. In ogni caso la madre scompare all’inizio della storia, rubando i soldi che le ragazze hanno messo da parte per far studiare all’estero la sorella più piccola, molto dotata nel campo dell’arte. La madre scappa di notte e va a raggiungere il marito alcolizzato e giocatore d’azzardo.
Le altre sorelle
La seconda sorella è In-kyung (Nam Ji-Hyun), giornalista idealista e alcolista, che tenta di incastrare il potente politico Park Jae-sang.
La più giovane, In-hye (Park Ji-hu), viene accolta nella famiglia di Park Jae-sang perché compagna di liceo e migliore amica della figlia. L’intera famiglia è ammaliata dal grande talento artistico della ragazza e lei si rifiuta di continuare a vivere con le sorelle, pur molto generose e affettuose, la cui situazione economica di indigenza rende difficili le loro esistenze e ne fa delle emarginate.
Un altro elemento molto affascinante della serie sono le orchidee. Un’orchidea blu viene lasciata ogni volta sul luogo del delitto come un marchio. Mi chiedo se esista davvero questa “orchidea fantasma” che se respirata è come una droga e che vive se poggiata su un certo albero che la nutre. Comunque quell’albero di orchidee è una meraviglia.
L’intrigo criminale
Veniamo agli antagonisti. I cattivi nelle serie coreane sono davvero feroci e temibili. Park Jae-sang è a capo di una banda di mercenari, diretti da una donna sadica, pronti ad ogni più bieca azione, inclusa l’eliminazione fisica di chiunque lo infastidisca.
Le sorelle si ritrovano al centro di un intrigo criminale ben più grande di loro. La maggiore viene affiancata da Choi Do-il (l’attore Wi Ha-joon che abbiamo visto anche in Squid Game), un tipo affascinante e ambiguo, anche lui legato a Park Jae-sang, che sembra solo interessato ai soldi. Tra loro si crea un rapporto di fiducia e sfiducia, sicuramente di attrazione, che però non sfocia in niente. Questo è un peccato perché il suo personaggio, così centrale nella vicenda, esce di scena senza una vera chiusura. Ma Piccole donne è una serie crime con poche concessioni al romance.
Un viaggio emotivo mozzafiato
La serie è stata girata da Kim Hee Won, il regista di capolavori come Crash Landing on You e Vincenzo, mentre la sceneggiatura è di Jung Seo-Kyoung (Decision to Leave).
Inizialmente mi ha stupito e anche un po’ infastidito la scarsa verosimiglianza di certi snodi narrativi, ma poi ho letto che si tratta di makjang, un preciso genere che deriva dalla parola coreana “esagerazione” e si riferisce a uno stile melodrammatico basato su trame estreme, ingarbugliate, che sfidano il buonsenso e gli standard morali, con personaggi sopra le righe e situazioni emotivamente forti.
Ecco, allora i conti tornano. C’è da dire che spesso le serie coreane tendono al makjang, ma Piccole donne lo centra in pieno.
“I makjang dramas sono eccessivi, irrealistici e il loro fascino risiede nella capacità di portare gli spettatori in un viaggio emotivo mozzafiato”.
I due amanti terribili
Uno strano rapporto sado-maso lega i due amanti ricchi e potenti. A un certo punto la moglie fa i capricci e il marito la fa rinchiudere, con le cattive maniere, nella sua stanza e ce la lascia per giorni, finché diventa più mansueta. Perciò potremmo pensare che lui, il futuro sindaco di Seul, sia dominante all’interno della coppia, ma non è così perché – senza spoilerare – lui sembra pendere dalle labbra di lei, la figlia del generale. Tra loro c’è uno stretto legame e i due fanno a gara a chi è più crudele.
Come dicevo, i coreani sono molto bravi a dipingere i cattivi, il che è apprezzabile rispetto al buonismo occidentale, però che questi uccidano a destra e a manca, compiano impunemente qualsiasi azione criminale solo perché ricchi e potenti sembra un po’ esagerato. L’impunità dei cattivi, il loro agire in totale libertà, colpisce più dei morti che resuscitano.
La vita dei ricchi
Piccole donne mi fa pensare ad altre due serie coreane da non perdere, Queenmaker e All Mine, che pure raccontano di famiglie molto facoltose, potenti e corrotte, che esercitano una sorta di potere assoluto. Anche lì l’obiettivo è puntato sulla vita dei ricchi: c’è curiosità per la loro way of life, le ville sontuose, la servitù, il vasto giro di dipendenti, le loro relazioni, gli status symbol.
L’orchidea fantasma
La sceneggiatrice Jung Seo-Kyoung ha raccontato che l’idea di lasciare un’orchidea blu sulla scena del crimine l’ha presa da un racconto con Sherlock Holmes, intitolato I cinque semi d’arancio (l’unico di Doyle in cui il criminale non viene catturato).
L’orchidea blu dai misteriosi poteri fu trovata dai soldati coreani nelle foreste del Vietnam, durante la guerra. Quest’orchidea ha effetti sedativi, allucinogeni, può migliorare lo stato d’animo e far cadere in un sonno profondo. Nella serie è un fiore mortale, un marchio di morte. Per tutto il tempo mentre la vedevo, ho continuato a chiedermi: ma esisterà davvero?
La risposta è stata top secret fino alla fine della messa in onda, poi hanno rivelato che è stata fatta a mano, in seta, da un team di artisti. Insomma, la bellissima orchidea blu è pura fiction e bisogna riconoscere che è una bellissima idea.