Quando ci si accosta a un romanzo del XIX secolo – soprattutto se è un romanzo inglese e ancora di più se è un romanzo di genere – bisogna sempre mettersi comodi, perché ogni lettura equivale a incamminarsi verso una meta lontana, che sarà raggiunta solo dopo un tragitto al tempo stesso tortuosissimo e piacevolissimo.
La domanda relativa a come andrà a finire deve essere formulata per forza, perché queste trame hanno sempre un inizio ben preciso e una fine ben precisa: ma ciò che sta in mezzo non potrà mai essere definito “ben preciso”.
Il feuilleton – il romanzo che usciva sui giornali a puntate – è un genere tipicamente ottocentesco, anche se è sopravvissuto a lungo nel secolo successivo. E, pur risultando la modalità di prima pubblicazione di opere del calibro di Madame Bovary, Delitto e castigo e I fratelli Karamazov, il suo ricordo oggi è associato a romanzi molto più popolari e talvolta dimenticabili. Romanzi che venivano pubblicati esclusivamente come passatempo per i lettori e non avevano altra finalità a parte quella di intrattenerli.
Tuttavia, questo non ha impedito che non pochi tra questi romanzi si conquistassero comunque un posto di tutto rilievo tra i classici e che molti siano tuttora ripubblicati e letti da un pubblico sempre nuovo, che non ha mai smesso di apprezzarli. Per quanto concerne gli autori di lingua inglese, pensiamo ad esempio a Dickens, ma anche a Conan Doyle.
Trait-d’union tra Dickens e Conan Doyle è un autore che ha qualcosa in comune con ognuno di loro: William Wilkie Collins, noto anche solo come Wilkie Collins, la cui specialità era riprodurre cornici e personaggi da Dickens (di cui era grande amico) in intrecci che anticipano quelli di Conan Doyle. Questo, per quanto riguarda i suoi romanzi più famosi, perché in realtà ha scritto tantissimo e ha scritto di tutto.
Wilkie Collins è considerato il padre del poliziesco e si è incerti se assegnare la palma di maggiore opera a La donna in bianco (1859) o a La pietra di luna (1868). Il primo è più prossimo al genere gotico, il secondo già francamente mystery e quindi, in una certa misura, capostipite di molti romanzi successivi.
Entrambi i romanzi sono piuttosto voluminosi e sono redatti con la stessa tecnica, quella che potremmo definire “la staffetta tra narratori“.
La staffetta tra narratori
A raccontare le vicende sono gli stessi protagonisti o, più facilmente, dei personaggi secondari che fanno da testimoni. In pratica, il romanzo è una successione di documenti presentati come manoscritti dai protagonisti e dai testimoni, che riferiscono quanto hanno vissuto, o di cosa sono stati spettatori.
Una tecnica di collaudato successo, utilizzata ad esempio ne Il mistero di Notting Hill, pubblicato anonimo nel 1865 e poi attribuito a Charles Warren Adams. E’ stata poi portata ai massimi livelli di efficacia in Dracula di Bram Stoker, che nel 1897 sembra voler suggellare definitivamente il gusto dei lettori del secolo.
La staffetta tra narratori rende più pregiata la narrazione perché permette di offrire al lettore diversi punti di vista degli stessi fatti, ma anche perché regala ai personaggi secondari uno spessore che difficilmente raggiungerebbero se non avessero un ruolo così importante.
Non a caso, è una tecnica che si sviluppa nella patria di Shakespeare, che fu il primo autore a dare importanza ai personaggi secondari.
Tuttavia, va aggiunto che questa staffetta richiede per forza una capacità di caratterizzare i personaggi che non tutti gli autori possiedono. Ogni personaggio deve essere in grado di “parlare con la sua voce” e questa deve essere inconfondibile.
Ne La pietra di luna, questa tecnica si avvale del contributo di parecchi personaggi molto dissimili tra loro: un vecchio maggiordomo, una zitella bigotta, un chirurgo caduto in disgrazia, un poliziotto a riposo appassionato di giardinaggio, un azzimato legale, un gentiluomo dalla fama non proprio trasparente. E poi ci sono figure meno significative e ulteriori personaggi. Il mestiere di Collins gli permette di tratteggiare ogni singola figura senza che ve ne siano anche solo due minimamente somiglianti tra loro.
Antefatto: il furto della pietra di luna in India
La trama de La pietra di luna parte da un imbarazzante antefatto. Nel 1799, durante l’assedio di Seringapatam, in India meridionale (un fatto storico reale), l’impetuoso ufficiale John Herncastle, oltre a compiere stragi di nemici, rubò un grosso diamante chiamato “la pietra di luna” e facente parte del tesoro di una divinità locale. Quando Herncastle portò la gemma in patria, si ritrovò perennemente sorvegliato da tre indiani che via via si avvicendavano, appartenenti alla casta dei bramini di Seringapatam. Questi aspettavano solo l’occasione per recuperare la pietra sacra. Ma l’occasione non si presentò. Era opinione comune che la pietra di luna portasse sfortuna e non a caso la vita di Herncastle, malgrado il suo consistente patrimonio, fu solitaria e infelice.
Il diamante scompare
Quando Herncastle muore, nel 1848, nel suo testamento destina la gemma alla figlia di un parente, Rachel Verinder, che sta per compiere diciotto anni e vive in una dimora signorile di Frizinghall, sulla costa meridionale inglese. A portare il diamante a Rachel è un altro parente, il giramondo Franklin Blake, che gliela consegna proprio nel giorno del compleanno, che si conclude con una ricca cena.
Ma nella notte il diamante sparisce. Blake, d’accordo con la madre della ragazza, lady Verinder, si rivolge al poliziotto più quotato di Londra, il sergente Richard Cuff. Le sue indagini sono però ostacolate un po’ da tutti, specialmente da Rachel che, a un certo punto, scappa via dalla residenza di Frizinghall senza dare spiegazioni. Inoltre, la cameriera Rosanna Spearman, riconosciuta da Cuff come ex carcerata e sospettata di essere complice del furto, si uccide annegandosi nelle sabbie mobili della costa. La traccia che parte da lei conduce a un ricettatore di Londra, che dal giorno successivo alla scomparsa del diamante sembra perennemente sorvegliato da tre indiani, simili in tutto e per tutto a quelli che fino a poco prima si aggiravano nei dintorni della dimora di Frizinghall.
Cosa è dunque successo, quella notte?
La matassa è talmente lunga e intricata che ci vorrà più di un anno per dipanarla. La soluzione potrà sembrare ingenua al lettore di oggi, ma questo dimostrerebbe soltanto l’ingenuità del lettore stesso. Perché si tratta di una soluzione che per la mentalità del tempo in cui il romanzo uscì era originale e credibile.
La pietra di luna non è un romanzo per lettori frettolosi o intolleranti. I personaggi sono spesso pieni di pregiudizi che a noi possono apparire oltre il limite del ridicolo, ma che a quel tempo regolavano davvero i rapporti sociali. Per lo meno nell’ambito delle classi elevate. I dialoghi poi sono pieni di formalismi che però, a ben vedere, non sono fini a sé stessi, bensì espressione di una educazione e di un rispetto che forse meriterebbero di essere almeno in parte recuperati. Le descrizioni, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non sono affatto prolisse, anzi potrebbero essere definite quasi essenziali.
I colpi di scena sono sempre ben dosati e non fanno mai ricorso alle facili emozioni. Anche in questo, La pietra di luna di Wilkie Collins si può considerare come un precursore del genere mystery, nel quale la tensione è data dall’attesa di scoperte e rivelazioni, anziché dal senso di tragedia incombente come nel thriller.
Da ragazzo restai affascinato dalla trasposizione televisiva di Fruttero & Lucentini per la regia di Majano. Era una tivvù in bianco e nero e i protagonisti di quegli sceneggiati erano i nostri migliori attori di teatro, non i bellimbusti delle odierne serie…
Ottima recensione, Roberto. Ma la tua competenza e bravura non sono mai in discussione!🍀
Non per niente la mia tesi di laurea è stata proprio su questo romanzo, sulla nascita del romanzo poliziesco e sulla narratologia dei diversi punti di vista. Grazie per averlo riportato all’attenzione dei lettori!