Prologo
In Gente del Sud, Raffaello Parlante, ultimo membro della famiglia Parlante il cui capostipite è il suo trisavolo Bastiano Parlante, è tornato in Puglia per i funerali dello zio Nello a cui era legatissimo e con cui è praticamente cresciuto. Gironzolando tra le stanze della grande casa, immerso nei ricordi, si ritrova nello studio dello zio, studioso e appassionato di lettere antiche.
Ne “la più bella libreria di Puglia”, ricavata da un antico mobile di farmacia del Settecento di cui suo zio era orgoglioso, ad un tratto spicca tra i libri uno in particolare, quasi che lo stesse chiamando: il vecchio album di famiglia. Dai ritratti dei suoi antenati, che vanno dal trisavolo Bastiano fino a sua madre piccolina, Raffaello sente provenire il richiamo antico della sua terra e delle sue radici, e inizia a raccontarcele.
“Il passato non muore mai. Non è nemmeno passato”.
William Faulkner
Gente del Sud, una stupenda saga familiare
Con questo prologo inizia Gente del Sud di Raffaello Mastrolonardo, una stupenda saga familiare che prende il via con Romualdo, medico a Napoli nel 1895, che manda via dalla città, nella quale è tornata l’epidemia di colera, sua moglie Palma incinta del quarto figlio, con gli altri bambini. Lei tornerà nelle Murge, starà a casa dei suoceri, Bastiano e Checchina Parlante, in attesa che torni la calma in quella che:
“Restava pure sempre, nell’animo della gente del sud, la vera capitale”.
Devo fare un piccolo spoiler. Palma non tornerà più a Napoli e, con i quattro figli – Costanzo, Ciccio, Vincenzina e soprattutto Cipriano – sarà la colonna portante della trama del romanzo.
Gente del Sud intreccia la storia della famiglia Parlante, in un andirivieni tra presente narrato e flashback del capostipite Bastiano (detto Papanonno per distinguerlo dai Bastiano nipoti che arriveranno), con la Storia d’Italia. La vita di Bastiano è segnata dal suo volersi affrancare dalla povertà e dal servilismo nei confronti dei nobili, grazie all’acquisizione delle terre. Questa sarà la sua principale ragione di vita. Uomo duro dell’Ottocento, vuole comandare su tutta la sua progenie ma, come sempre accade, la vita è più forte e porta le persone a seguire il proprio destino.
Si va dall’inizio del ‘900 ad oggi
Gente del Sud è diviso in otto grandi capitoli, ognuno intitolato a un periodo storico.
Attraverso le storie dei quattro figli di Palma, intrecciate con quelle del resto della famiglia, siamo portati dentro gli anni ’10 del Novecento, poi nella Prima Guerra Mondiale in cui tutti i maschi di famiglia abili, così come era il sentimento all’epoca, si gettano con entusiasmo. L’esperienza della trincea, come ho già avuto modo di raccontarvi, per Cipriano è devastante. Al contrario dei fratelli Ciccio che, come sacerdote, aveva se non altro la vocazione al sacrificio e all’accudimento, e Costanzo che cercava la gloria militare per affermare la sua fragile personalità, Cipriano semplicemente cerca di restare vivo per poter tornare a casa e iniziare la vita vera.
Cipriano è colui che seguirà le orme del nonno e, nell’intento di far progredire la famiglia, troverà in sé doti da imprenditore. Aiutato dall’inseparabile fratello di latte (così si chiamavano i figli allattati dalla stessa balia) Angiolino, porterà la famiglia Parlante attraverso il Fascismo, la Seconda Guerra Mondiale, lo sviluppo economico del dopoguerra, fino alla crisi degli anni ’70 e ai tempi attuali.
Gente del Sud è veramente un libro coinvolgente. Ti fa conoscere la Storia dal punto di vista privato, personale e in fondo irrilevante, ma proprio per questo fondamentale, del singolo individuo che, in una terra povera e complicata come la Puglia, lotta per sé e la sua famiglia, per l’emancipazione e la realizzazione dei propri sogni.
Gli intermezzi dialettali possono creare qualche piccola difficoltà a chi non è avvezzo alle parlate del Sud, ma non tanto da far perdere di vista il filo del racconto.
E’ vero che il romanzo è ambientato in Puglia, ma la cosa bella è che grazie ai suoi colori, gli odori e le atmosfere, chiunque può ritrovare parte della propria storia. E’ nei racconti dei nonni che hanno vissuto quegli anni perché Puglia, Campania o Veneto che fosse, la vita era dura e le difficoltà tante per tutti.
Una storia vera
Quello che però mi ha fatto più amare Gente del Sud, l’ho scoperto nella nota dell’autore a fine libro, anche se ne avevo già avuto qualche sentore perché a Cipriano accadono cose, come la visita alla sua azienda da parte del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, che non potevano essere finzione.
E infatti non a caso la voce narrante ha lo stesso nome dell’autore. Raffaello Mastrolonardo, attraverso la voce di Raffaello Parlante, racconta, romanzandola un po’, la storia della sua famiglia. Ha mescolato le vite dei suoi avi, dei rami sia materno che paterno, per creare un unico albero genealogico che rendesse avvincente lo scorrere degli anni. Quindi tutti i personaggi che ci accompagnano durante la lettura sono esistiti davvero. Nel libro si trovano le foto di Cipriano, Checchina, Gelica e altri personaggi. Questo rende Gente del Sud un libro veramente emozionante perché vivo e reale. Balsignano invece, il paese in cui vivono i Parlante, non esiste. Come Vigata di Montalbano, è un insieme di caratteristiche dei paesi della zona. Mastrolonardo cita soprattutto Modugno, Altamura e Andria.
Leggere Gente del Su
al Sud
Mi piace moltissimo, quando sono fuori un po’ di tempo per lavoro, avere come compagno di viaggio un libro ambientato nel luogo dove mi trovo in quel momento. È uno dei modi che ho per conoscere quello che mi circonda, è una guida tutta per me, una voce narrante che mi accompagna nell’esplorazione del posto nuovo. La trasferta lavorativa a Bari di cinque settimane lo scorso settembre è stata proprio l’occasione che aspettavo per leggere Gente del Sud.
Un libro che avevo in pole position nell’e-reader già da qualche anno, aspettavo il momento giusto per dedicarmici con passione, io che adoro i libri di spessore, intendendo (anche) proprio il numero di pagine che lo compongono. Intendiamoci, non è che mi piaccia leggere l’elenco telefonico, ma se una storia mi piace e mi coinvolge, sono contenta se si articola in maniera complessa, particolareggiata e se dura a lungo.
Tra l’altro mi è successo che, mentre ero con Gente nel Sud intorno agli anni ’40 del secolo scorso, mi è capitato di girare delle scene in un paesino, alle porte di Bari, che sembra fermo a quegli anni. E quindi era come un continuo deja vu tra quello che leggevo la sera a casa e quello che vedevo di giorno. È stata un’esperienza un po’ straniante e molto affascinante, una specie di viaggio nel tempo. Insomma, è un libro stupendo, c’è la Puglia più profonda, c’è la Storia d’Italia, c’è la storiografia dei personaggi che hanno fatto grande la nostra nazione. Da leggere assolutamente.
Ricette letterarie
Dici Bari e subito saltano in mente le orecchiette. Con le cime di rapa, al pomodoro fresco, bianche, verdi, fatte a mano nella fantastica strada delle orecchiette a Bari vecchia… devo dire che ne ho fatto scorpacciate.
Ma io vi voglio raccontare di un altro piatto tipicamente barese, che pare risalga alla dominazione spagnola del XVII secolo. E’ squisito nella sua tradizionale semplicità e talmente umile che sicuramente ha fatto parte anche dei menù della famiglia Parlante: riso patate e cozze.
La parte da protagonista la fa il recipiente, la Tiella, termine dialettale per dire “teglia”, che idealmente deve essere di terracotta o perlomeno di ceramica.
La mia amica Agnese, barese DOC trapiantata a Roma, ne fa una versione splendida, ma credo che questa non sia da meno. In fondo, come tutte le ricette tradizionali, ci sono tante variazioni quante sono le famiglie che la preparano.
Il connubio tra la sapidità salina delle cozze, la morbidezza del riso e la crosticina croccante delle patate vi porta dritti al paradiso dei sapori! Fatela finché è ancora stagione di cozze, in questo strano caldo autunno.
Tiella di riso, patate e cozze
Ingredienti per 4 persone
2,5 kg di cozze da pulire
200 gr di riso arborio o carnaroli (non usate MAI il parboiled, sembra plastica e non assorbe i sapori)
250 gr di cipolle bianche
2 spicchi d’aglio
400 gr di pomodorini ciliegini
1 kg di patate
40 gr di Pecorino romano grattugiato
sale fino q.b.
pepe q.b.
olio extra vergine d’oliva pugliese
prezzemolo q.b.
Preparazione
Mettere il riso in una ciotola con acqua fredda e sciacquarlo per eliminare una parte dell’amido.
Pulire bene esternamente le cozze con una paglietta metallica e lavarle sotto l’acqua corrente.
Per aprire le cozze a crudo (assolutamente non in padella), schiacciare leggermente, far scivolare in avanti una delle due valve fino a sentire il tipico “clac”, inserendo tra di esse un coltellino e facendolo scorrere fino ad aprire il mollusco. Poi spostare la cozza su una sola valva ed eliminare l’altra, raccogliendo in una ciotola il liquido che ne uscirà.
Procedere così con tutte le cozze e adagiarle in un contenitore. Filtrare l’acqua con un passino fine o un telo di cotone, in modo da eliminarne tutte le impurità e tenerla da parte.
Cospargere la base della teglia che useremo creando una base con ottimo olio extra vergine e le cipolle tagliate a rondelle.
Pelare le patate e tagliarle a fette omogenee di non più di ½ centimetro di spessore, per consentire una cottura uniforme.
Fare un primo strato di patate, sul quale adageremo qualche pomodorino e il prezzemolo.
Spolverizzare con il formaggio, un po’ di pepe e ancora olio.
Fare uno strato di cozze, utilizzandole tutte , con il frutto rivolto verso l’alto.
Spolverizzare con il riso facendo attenzione a farlo entrare nelle cozze aperte.
Tritare l’aglio e cospargerlo sul riso insieme ad altre rondelle di cipolla, prezzemolo e ancora formaggio e olio.
Macinare abbondante pepe su tutta la superficie.
Fare lo strato di chiusura con le restanti patate avendo cura di coprire completamente.
Completare con i restanti pomodorini, spolverizzare ancora con il formaggio e aggiungere ancora un po’ d’olio.
A questo punto la tiella è composta, ma bisogna aggiungere i liquidi.
Inserire lateralmente, quindi, il liquido filtrato delle cozze. Completare con acqua leggermente salata (circa 7 gr. di sale ogni litro) fino al limite dell’ultimo strato, senza superarlo.
Il giusto quantitativo è quello che si ottiene quando, premendo leggermente la superficie dell’ultimo strato, l’acqua affiora in superficie.
Infornare la tiella a 200° in forno statico per 45/60 minuti, dopo averla preferibilmente riscaldarla sul fornello, finché le patate saranno cotte e si sarà formata un’appetitosa crosta dorata.
La Tiella è ottima se mangiata tiepida, in modo da consentire ai suoi sapori di amalgamarsi bene.