Con diversi premi e milioni di copie vendute, Haruki Murakami è senz’altro uno degli scrittori giapponesi contemporanei più letti e conosciuti al livello internazionale.
C’è da dire che se non fosse per il suo nome e cognome faticherei a definirlo un autore di letteratura giapponese. Se penso al Giappone, penso a una cultura ancestrale, caratterizzata da usi e costumi tipicamente orientali. Mi riferisco, ad esempio, al Buddhismo e allo Shintoismo, alla cultura meditativa alla base di questo popolo, agli ideali dei vecchi samurai, ai tipici rituali che vanno dalla cerimonia del tè (Cha no yu) all’arte della disposizione dei fiori (Ikebana).
Murakami è stato spesso criticato dai suoi concittadini perché quello che scriveva non era “giapponese” ma lui ha replicato che, dal suo punto di vista, ci dovrebbero essere altri modi per trasmettere la “giapponesità”. Inoltre, non bisogna dimenticare che la cultura nipponica contemporanea ha subito notevoli influenze europee e nordamericane. È per questi motivi che, leggendo Norwegian Wood, mi sono trovata davanti una storia e dei personaggi prettamente occidentali.
Lo straordinario successo di Norwegian Wood
Scritto nel 1987, Norwegian Wood ha avuto un enorme successo e ha fatto conoscere Murakami in tutto il mondo. Una notorietà improvvisa che ha letteralmente spiazzato l’autore, costretto a lasciare il Giappone “perché ne era disturbato”. In un’intervista ha affermato che non si aspettava di ritrovarsi “a essere una celebrità” e che lui “voleva solo scrivere i suoi libri”. Fu talmente turbato che non riuscì a scrivere nulla per circa sei mesi.
“Prima di Norwegian Wood, i miei libri vendevano piccole cifre. Vivevo una vita molto tranquilla e felice. Ma dopo Norwegian Wood non ero più così felice”.
Insomma il libro ha creato al nostro autore non pochi problemi, ma noi lo ringraziamo per averlo scritto. Anche perché, a suo dire, è un romanzo molto personale e ci dà quindi la possibilità di conoscerlo più a fondo.
Si tratta di un romanzo realistico e sentimentale che si distacca notevolmente dai suoi scritti precedenti e successivi, i quali hanno la decostruzione della realtà come tratto distintivo e predominante.
L’opera deve il suo titolo all’omonima canzone dei Beatles. In generale Murakami ha un rapporto molto stretto con la musica (tantissimi sono i riferimenti che ne fa all’interno del romanzo), però nei confronti della band inglese ha un debito particolare e ci tiene a sottolinearlo. Racconta, alla fine del libro, nel postscriptum:
“Nella mia stanza in una piccola pensione di Atene – dove ho steso una parte del romanzo – non c’era il tavolo, così in quel periodo scrivevo ogni giorno in una taverna terribilmente rumorosa, con la cuffia del walkman nelle orecchie, sentendo il nastro di Sergeant Pepper’s Lonely Hearts Club Band a dir poco duecento volte. Perciò in un certo senso questo romanzo è stato scritto with a little help da Lennon e McCartney”.
Piccola curiosità: in origine il titolo doveva essere Ame no naka no niwa, in omaggio a una sonata per pianoforte di Debussy. Murakami l’avrebbe poi tradotto in italiano in Il giardino sotto la pioggia, dato che in quel periodo si trovava in Italia, paese al quale rimane particolarmente affezionato. Immaginava questo titolo per un “romanzo bello, malinconico, delicato e compatto” ma, alla fine della stesura, si rese conto che il libro “non era più possibile definirlo ‘compatto’’ e che “aveva ormai troppa forza”. Optò allora per il titolo che oggi conosciamo.
La trama è essenziale
Watanabe Tōru, protagonista e narratore, è appena atterrato ad Amburgo, in Germania. Ancora prima di scendere dall’aereo, dagli altoparlanti sul soffitto comincia a sentire una musica di sottofondo. È proprio Norwegian Wood dei Beatles (puoi ascoltarla qui).
“E come sempre mi bastò riconoscere la melodia per sentirmi turbato. Anzi, questa volta ne fui agitato e sconvolto come non mi era mai accaduto”.
È su queste note che Watanabe inizia un lungo flashback nel quale ricorda e racconta com’era la sua vita ai tempi del collegio e dell’università, nella Tokyo della fine degli anni Sessanta. A dare profondità alla storia sono senza dubbio i rapporti – e le loro implicazioni – che il protagonista instaura con diversi personaggi, primi fra tutti due ragazze: Naoko e Midori.
Naoko e Midori
Entrambe, così diverse eppure così simili nelle loro sofferenze, senza volerlo porteranno il giovane a confrontarsi con la morte e la malattia. Naoko ha perso Kizuki, morto suicida a 17 anni. Era il suo primo (e forse unico) amore, nonché il migliore amico di Watanabe. Anche la sorella di Naoko è morta suicida. Per questi traumi e altri problemi familiari, la ragazza si ritroverà in un istituto psichiatrico immerso tra le montagne, dove Watanabe la andrà a trovare.
Dall’altra parte c’è Midori, anche lei segnata da diversi lutti in famiglia ma che, con la sua vivacità, riesce a trasmettere un’energia e una gioia di vivere che non lasciano Watanabe indifferente.
Due personalità opposte che con ogni probabilità incarnano le due diverse anime del protagonista in lotta tra loro e ancora non totalmente in grado di emergere.
A contribuire alla crescita personale di Watanabe non sono però solo Naoko e Midori. Al collegio il ragazzo conoscerà Nagasawa, un giovane sfrontato che sa il fatto suo e che cercherà di trascinare Watanabe in serate all’insegna di bevute e sesso occasionale. Per quanto in parte ammiri il compagno di collegio per la sua determinazione, Watanabe rimane saldo nei suoi valori morali e non cede a quella che ai suoi occhi è una vita egoistica e spregiudicata.
Infine c’è Reiko, un’ex insegnante di pianoforte e compagna di stanza di Naoko nell’istituto psichiatrico. Reiko è una donna adulta altrettanto tormentata dal passato, ma che è riuscita a canalizzare le sue sofferenze in modo da poter aiutare chi ne ha bisogno. Sarà sempre lei ad assistere Naoko nei momenti più bui e a tenerla in contatto con Watanabe quando lui è via.
Un romanzo di formazione
Le singole relazioni che il protagonista instaura con ognuno di questi personaggi sono destinate a impattare inevitabilmente, in modi diversi, sulla sua persona. Per questo viene considerato dai critici un romanzo di formazione (leggi anche qui). D’altronde, quello che viene messo a fuoco in poco meno di quattrocento pagine è il percorso travagliato di crescita di un ragazzo, il delicato passaggio dall’adolescenza all’età adulta con tutto ciò che questo comporta, compreso l’inevitabile faccia a faccia con un mondo fatto (anche) di morte e dolore.
“A pensarci adesso furono davvero dei giorni strani. Nel pieno della vita tutto ruotava attorno alla morte”.
Giorgio Amitrano, traduttore ed esperto di letteratura giapponese, analizzando il personaggio di Watanabe lo ha definito un ‘antieroe’. È infatti un ragazzo votato all’inazione che, più che agire davanti alle circostanze della vita, si lascia travolgere. Questo “farsi trasportare dal flusso delle cose”, però, non lo lascia di certo impassibile ed è qui che si percepisce tutto il dramma di un adolescente che avverte la propria inadeguatezza nell’affacciarsi alla vita adulta.
C’è un passo all’interno del romanzo che in poche righe, a mio avviso, esplicita perfettamente questo disagio del protagonista. Disagio che alla fine penso sia comune a gran parte degli adolescenti. In questo Murakami è assolutamente universale.
“Il 1969 nella mia mente è associato all’immagine di una palude. Una tetra palude piena di una torbida melma, dove a ogni passo i miei piedi rischiavano di restare invischiati. Era solo con uno sforzo terribile che riuscivo ad avanzare in mezzo a quel fango. Non riuscivo a vedere niente né davanti né dietro di me: solo quella buia palude che si estendeva a perdita d’occhio. Gli altri andavano avanti, li guardavo avanzare spediti mentre mi trascinavo faticosamente attraverso il fango. Era un periodo di grandi cambiamenti per il resto del mondo. […] Io vivevo alla giornata, senza quasi sollevare la testa”.
Watanabe rimane impantanato ma comunque gli dobbiamo riconoscere una volontà e un tentativo di reazione.
La sfida della sessualità
Oltre all’amore c’è anche un altro elemento da tenere in considerazione, insistente nella storia: la sessualità.
La contrapposizione che lo scrittore crea tra le due ragazze, Naoko e Midori, è quella che si crea tra un amore più puro e un amore più carnale. Naoko, dopo essere andata al letto con Watanabe una sola volta, di rapporti sessuali non ne vuole più sapere; dall’altra parte, Midori per Watanabe è una tentazione continua. Qui sta la sfida del protagonista: sceglierà di restare fedele a Naoko o di cedere al desiderio sessuale? La risposta, la troverete nel romanzo.
In definitiva possiamo affermare che le opere di Haruki Murakami hanno guadagnato un’immensa popolarità perché guidano i lettori attraverso alcuni dei territori più oscuri e pericolosi della vita (leggi anche qui). I suoi personaggi sono costretti a imparare a loro spese che la morte è parte della vita e che la dipendenza emotiva non è amore: un’altra lezione preziosa visto che la cultura popolare spesso li assimila.
Morte, malattia, sofferenza, erotismo, sono dunque i fili conduttori di Norwegian Wood. Una storia che a Watanabe, come a noi tutti, insegna che per quanto la vita possa essere imprevedibile anche nelle sue brutture, offrirà sempre una possibilità di riscatto. Purché si sia disposti ad agire.
Bellissima ed esaustiva recensione. Grazie.
Grazie a te Giulia!