«Non devi comprendere la vita. Devi semplicemente viverla.»
Il suo nome è Nora Seed
Ha trentacinque anni e la sua vita non è proprio il sogno che si immaginava da piccola quando tutte le possibilità erano aperte e tutte le strade percorribili.
Il lavoro non le piace e non l’appaga, oltretutto si ritrova a perderlo per “la sua faccia triste”. Il suo gatto rosso, Voltaire detto Volts, viene rinvenuto privo di vita. Non ha un compagno. I genitori sono venuti meno e con il fratello non riesce a intessere un rapporto. La sua unica vera amica, Izzy, ora si trova in Australia e i loro legami si sono sfilacciati. A far da padroni nella sua esistenza sono i rimpianti.
L’immagine di un buco nero astronomico, sulla copertina di una rivista, rispecchia esattamente quello che si sente di essere… al punto che, dopo un paio di veloci messaggi di commiato, decide di smettere di vivere.
E si ritrova in una gigantesca biblioteca…
Quello che le succede, però, è che si ritrova in una gigantesca biblioteca – dove l’orologio è fermo sulla mezzanotte – che è riempita a perdita d’occhio di libri dalla copertina verde, più uno enorme dalla copertina bianca.
Ad accoglierla c’è Mrs. Elm, la bibliotecaria dei suoi anni del liceo, una persona alla quale Nora è legata perché le stette vicino in un momento importante della sua vita. Questa biblioteca è un limbo e Mrs. Elm è una proiezione mentale di Nora, il suo personale Virgilio che la guiderà verso le sue nuove vite.
Perché al plurale? Perché ogni libro è una possibile vita di Nora. In ogni singolo momento della vita di ognuno di noi, ogni decisione porta inevitabilmente la nostra vita in una direzione piuttosto che in un’altra. Consultando il suo librone bianco dei rimpianti, Nora può scegliere uno dei libri e seguire una direzione piuttosto che un’altra.
E se quella fosse la volta perfetta…
Può essere glaciologa, rock star, madre di famiglia… lei sa di stare in una dimensione alternativa della sua vita, un multiverso come si dice ultimamente, e ha anche un altro enorme vantaggio. Qualora sentisse, con tutta se stessa, che quella è la dimensione che le calza a pennello, che è la volta perfetta, dopo qualche giorno dimenticherebbe di essere stata la Nora originale, diciamo così, e diventerebbe questo suo alter ego.
Ma se si rende conto che quella dimensione non le piace, basta che pensi alla biblioteca e vi fa subito ritorno, pronta a una nuova alternativa. Questo fino a che l’orologio resta fermo sulla mezzanotte. Se dovesse muoversi, la biblioteca sparirebbe e lei rimarrebbe intrappolata nella vita nella quale si trova in quel momento.
Nora è entusiasta di questa possibilità che le si offre e si getta a capofitto nelle vite alternative, assottigliando sempre di più il suo libro dei rimpianti, anche perché è convinta che tanto peggio di come era la sua vita originale, non potrà essere. Tuttavia si rende presto conto che si possono fare delle scelte, ma non si possono deciderne i risultati.
Un primo shock – scusate lo spoiler – lo ha quando, in una vita alternativa, Voltaire rientra a casa, ma poi lo trova morto sotto il letto. Il gatto era malato, non era stato investito per la sua incuria, ma aveva semplicemente avuto un infarto. Sarebbe morto in ogni caso.
Passando da una vita all’altra
Così, passando da una vita all’altra, Nora inizia a capire che non esiste una vita perfetta. Inizia a capirsi, ad accettarsi, a perdonarsi per le scelte che, si rende conto a mano a mano, non sono giuste o sbagliate. Perché è la vita a non essere giusta o sbagliata, è semplicemente quella che è.
Grazie alla biblioteca di mezzanotte, Nora e il lettore insieme a lei, ha la possibilità di capire che è perfettamente inutile riempirsi la vita di rimpianti e che è troppo facile rimpiangere esperienze non vissute. Sono dei film non scritti, non recitati, solo immaginati per sopportare le inevitabili frustrazioni che ogni vita porta con sé, visto che anch’esse fanno parte della vita. I rimpianti, ed è il caso del gatto, spesso non si basano su fatti reali. Sono una sovrastruttura mentale che ci creiamo per avere una sorta di confort zone di fallimento sulla quale sospirare, ma senza realmente fare qualcosa per risolverla.
La biblioteca di mezzanotte è solo apparentemente un libro fantasy. In realtà tramite la storia di Nora, Matt Haig che è uno scrittore molto addentro alle tematiche della depressione e ai modi per combatterla e curarla, aiuta il lettore a vedere la realtà nelle sue infinite sfaccettature.
Chissà dove sarei se…
In misura maggiore o minore, un po’ tutti, prima o poi, abbiamo una sorta di pensiero disfunzionale chiedendoci “cosa sarebbe successo se”, “chissà dove starei e chi sarei se”. Questo tipo di pensiero, in una certa misura, è insito nell’essere umano. È anche uno dei motori che ci spingono a migliorare e a trovare soluzioni che rendano la vita degna di essere vissuta.
Quello che ci dice l’autore con La biblioteca di mezzanotte, è che questa lecita domanda non deve diventare l’alibi per non fare perché “tanto ormai”. Bisogna sempre mettersi in gioco, bisogna sempre cambiare prospettiva perché non puoi sapere come andrà a finire.
Questo non è un manuale di self help, uno di quei libri che pretendono di insegnarti la ricetta della felicità. Il punto de La biblioteca di mezzanotte – Nora lo scoprirà quando si renderà conto che la lancetta sta per muoversi e quindi il suo tempo sta scadendo – è che il motivo principale della vita è la vita stessa. È che la felicità è solo l’altra faccia della tristezza e che non esiste l’una senza l’altra. Ogni scelta, ogni minimo cambiamento, genera una valanga di variabili e bivi che non è possibile controllare, se non in minima parte.
La biblioteca di mezzanotte è un libro che, secondo me, vale la pena leggere perché, in maniera leggera ma non superficiale, aiuta il lettore a vedere le cose con il cosiddetto pensiero laterale. Aiuta a cercare e trovare una via alternativa per continuare il viaggio. Chiudo con la fantastica frase di Mae West, che sento talmente mia che ce l’ho come stato di WhatsApp e che credo sia perfettamente calzante a La biblioteca di mezzanotte.
“Si vive una volta sola. Ma se lo si fa bene, una volta è abbastanza”.
Ricettisticamente parlando, torno con piacere alla tanto bistrattata cucina inglese, per la quale, come sapete, porto avanti una mia personalissima crociata anti-cliché.
Io adoro il Natale e mi diverto moltissimo a cucinare piatti tipici di vari paesi, da presentare tutti insieme in un divertente melting pot culinario. E quindi approfitto della britannicità di Nora per raccontarvi di dolcetti natalizi super tipici della mia isola preferita: i mince pies. Sono chiamati così perché in origine, all’epoca di re Giacomo I, il ripieno era fatto di frutta secca, alcool e carne macinata (minced meat, appunto). Un abbinamento abbastanza tipico dei Paesi nordici.
Col passare del tempo e l’evoluzione del gusto, la carne ha ceduto il passo a un miscuglio di frutta secca ed essiccata, per cui adesso i mince pies sono dei dolcetti monoporzione che, con la loro decorazione a stella, fanno la loro bellissima figura in tutti i buffet di dolci del Commonwealth.
Mince pies
Impasto:
320 gr farina 00 230 gr burro (o 180 gr di strutto, per essere filologici) freddissimo, già tagliato a cubetti 100 gr acqua ghiacciata Un bel pizzico di sale
Ripieno:
1 mela croccante, tipo renetta o anche Granny Smith, tagliata a cubetti
100 gr di uvetta sultanina – 100 gr di uvetta di Corinto (quella gialla)
100 gr di mirtilli rossi secchi – 100 gr di albicocche secche (o altra frutta secca a vostro gusto)
Zucchero integrale (quello scuro morbido): 100 gr
50 gr di miele di agrumi
50 gr di brandy
3 cucchiai di bucce di agrumi (arancia, limone, mandarino) grattugiate
Cannella 1 cucchiaino
Zenzero 1 cucchiaino
1 cucchiaino totale tra chiodi di garofano macinati e noce moscata In alternativa, 3 cucchiaini di spezie miste natalizie
Sale
Zucchero a velo per servire
Mescolare insieme, con la punta delle dita per non scaldare l’impasto, la farina con il sale e i cubetti del grasso scelto (burro o strutto), fino ad avere una consistenza sabbiosa. Poi unire poco alla volta l’acqua freddissima, potrebbe non servire tutta andate per gradi. Una volta amalgamato, fate un panetto, impellicolatelo e fatelo riposare in frigo.
Tagliate a cubetti, più o meno della dimensione dell’uvetta sultanina, tutta la frutta essiccata. Mettetela in una ciotola e conditela con il brandy, il sale e le spezie. Mescolate per bene e lasciate riposare, idealmente almeno una notte.
Cosa molto importante: le mince pies sono monoporzione. La grandezza la decidete voi in base allo stampo che avete. L’ideale è usare una teglia per muffin piccoli, ma se avete solo quella di formato regolare andrà benissimo lo stesso, ne mangerete di meno!
Quando sarete pronti, stendete in uno strato sottile l’impasto e ritagliate tanti dischi che vi serviranno a foderare lo stampo da muffin. Pareggiate i bordi e poi riempite con il mince meat fino a due terzi di altezza. Ritagliate quindi delle stelle che siano della misura della cavità e ponete ognuna sulla superficie del ripieno. A questo punto mettete tutto in frigo per almeno 2 ore.
Cuocete infine in forno preriscaldato a 180° per circa mezz’ora. Serviteli spolverati di zucchero a velo.