
Pagine e pagine di epistolari hanno intersecato le mie letture dell’anno. Galeotto fu Il nostro desiderio di diventare rondini che, complice il titolo suggestivo, mi ha condotto dentro un mondo parallelo di scritture.
Trame altrettanto ben costruite dalla vita che sono andate a risarcire certe grandi delusioni della fiction: l’ultimo McEwan, Lezioni, e il Franzen di Crossroads, per dirne due, ma mettiamoci anche, dallo scaffale italiano, Postorino, con Mi limitavo ad amare te. Tutti osannati dalla critica e dai vari festival della letteratura, oltreché dalla maggioranza dei lettori.
Mi sono ritrovato così nel flusso della scrittura epistolare che esige modi di lettura diversi, diluiti nel tempo, seguendo i ritmi del desiderio o del caso. Diciamolo, alcuni tomi ponderosi – 1568 o anche 528 pagine – rischiano, se letti tutti di seguito, di generare una sorta di sazietà nel lettore. Ripresi nel tempo, riacquistano freschezza e gusto.
Attilio e Ninetta Bertolucci,
Il nostro desiderio di diventare rondini
Poesie e lettere, Garzanti, 2020, pp. 528
(a cura di Gabriella Palli Baroni)
“Noi dobbiamo attraversare questa cosa dolce e terribile che è la vita, insieme, dobbiamo fare un lungo viaggio sempre insieme, e avremo in comune la gioia e la tristezza e tutte le mattine svegliarsi vicini e volerci sempre bene e comprenderci”.
Attilio Bertolucci

Il libro contiene le lettere che il poeta Attilio Bertolucci e Ninetta Giovanardi si sono scambiate nei primi anni della loro relazione. Bellissimi i messaggi di corteggiamento a quella ragazza che agli occhi del liceale appariva “inattingibile” (“erano ‘tutti’ innamorati di lei”):
“Io sedevo nel primo banco, lui dall’ultimo mi guardava per ore col mento appoggiato sulla mano”, ricorderà lei anni dopo.
Fin dalla prima missiva il giovane Attilio non teme di ricorrere alla poesia, sua e di Baudelaire (non a caso intitolerà la sua ultima raccolta Ho rubato due versi a Baudelaire), per fare breccia nel cuore dell’amata. E proprio la poesia farà da sottofondo a tante lettere (“Lo sai che i tuoi occhi, i tuoi piccoli occhi neri li ho messi a Ifigenia, in una mia poesia?”) insieme alle passioni comuni: la musica (soprattutto jazz), il cinema, i libri.
234 fra lettere, cartoline e biglietti

Nelle copiose lettere di questo carteggio (234 per la precisione, comprendendo anche cartoline e biglietti postali), la maggior parte concentrata in un arco di anni che va dal 1933 al 1938, l’anno del matrimonio, i due corrispondenti prefigurano quell’amore coniugale che sarà uno dei temi dominanti della poesia di Attilio e che culminerà nel grande poema della maturità, La camera da letto. Ma non c’è solo la “corrispondenza di amorosi sensi” in queste lettere. Emerge anche un’affinità di gusti, propiziata dalle scoperte letterarie e artistiche di Attilio che sa coinvolgere Ninetta nel proprio apprendistato poetico.
Senza essere mai ricercata, la prosa di Bertolucci è piena di immagini attinte dal paesaggio e dal tempo delle stagioni, anche questa una caratteristica della sua poesia, retta da un occhio allenato da un’altra delle sue grandi passioni: l’arte.

Una giornata “bellissima: aria trasparente, monti lontani e vaghi, cielo celeste, il cavallo bianco del mugnaio che passa contro il frumento che scurisce, papaveri, gli usignoli, il fieno”, è il 20 maggio 1935.
Ninetta dal canto suo sa come contenere, anche scherzosamente, le ansie e le ipocondrie di un Attilio tuttavia consapevole di questo aspetto del suo carattere e, a sua volta, autoironico: “Vivo troppo nelle nuvole, poi al primo contatto con la realtà, anche per una piccola ammaccatura, grido come un’aquila. Se non ci fossi tu con un po’ di criterio…”.
Sul titolo, Il nostro desiderio di diventare rondini, non faccio spoiler. Dico solo che la frase si trova nella lettera di Attilio del 22 ottobre 1935.
Mi piace chiudere su uno dei versi (giustamente) più famosi di Bertolucci: “assenza/più acuta presenza”. Il libro ne è la prova lampante.
Albert Camus-Maria Casarès,
Saremo leggeri
Corrispondenza (1944-1959), Bompiani, 2021, pp. 1568
(traduzione di Camilla Diez)
“Ci siamo incontrati, ci siamo riconosciuti, ci siamo abbandonati l’uno all’altra, siamo riusciti ad amarci di un amore ardente di cristallo puro, ti rendi conto della nostra felicità e di ciò che ci è stato dato?”
Maria Casarès

Con le lettere che documentano l’amore tormentato e, a suo modo, impossibile tra lo scrittore premio Nobel per la letteratura (1957) Albert Camus e la grande attrice drammatica Maria Casarès, “l’essenza stessa della tragedia”, entriamo in un mondo completamente altro rispetto a quello delle rondini di Bertolucci.
Albert e Maria, esule in Francia dal 1936 (suo padre era stato Presidente del Consiglio della Seconda Repubblica spagnola), si sono conosciuti a Parigi nel 1944 – 21 anni lei, 30 lui – in occasione delle prove in teatro del Malinteso, e hanno vissuto una intensa stagione d’amore di pochi mesi, dolorosamente interrotta per scelta di entrambi, nel momento in cui, dopo due anni di separazione forzata, la moglie di Camus, Francine, bloccata in Algeria dalla guerra, raggiunse il marito a Parigi.
“Nessun cuore d’uomo è mai stato più colmo di affetto e di disperazione”, scrive allora Albert, lacerato. Ma “ci sono impegni cui non si può venir meno, anche se l’amore non c’è”, aggiunge. “So del resto che non è quel che mi chiedi”.
Maria tace.
Le lettere dell’addio da parte di Albert sono strazianti. Ma la vita è imprevedibile. Dopo quasi quattro anni, il 6 giugno 1948, Maria e Albert si rincontrano per caso sul boulevard Saint-Germain ed è di nuovo passione travolgente. Questa volta non si lasceranno più, pur non vivendo mai insieme e passando tanto tempo lontani (anche per loro vale il verso di Bertolucci!), cosa che spiega la quantità di lettere scambiate.

856 lettere
Il libro ne riporta 856, ma non sono tutte. Camus non si separerà mai dalla moglie, che tra l’altro soffriva di una grave forma di depressione, ma non troncherà neanche la relazione, vitale, con Maria.
“Siamo entrambi – le scrive – lucidi, consapevoli, in grado di capire ogni cosa e quindi ogni cosa superare, abbastanza forti da vivere senza illusioni, e legati l’uno all’altra dai vincoli della terra, dell’intelligenza, del cuore e della carne, tanto che nulla, lo so, nulla può sorprenderci né separarci”.
E così imparano “a camminare sul filo teso di un amore privo di qualunque orgoglio”, come ricorderà in seguito Maria nella sua autobiografia.
La voluminosa e incandescente corrispondenza, che pure restituisce tutta la tavolozza della passione, è ben più di un diario sentimentale. Attraversa infatti, una stagione culturale intensa, ricca di personaggi della letteratura e del teatro, ma anche del cinema, segnata da engagement e dibattiti epocali.

Incontriamo pensatori e letterati come Sartre, Gide, ma anche il poeta René Char, grande amico di Camus, e lo scrittore e regista Jean Cocteau, attori come Gérard Philipe e Serge Reggiani, registi-attori che hanno lasciato un segno nella storia del teatro come Jean-Louis Barrault e Jean Vilar. Tra i tanti c’è persino un inopinato Mario Soldati, raccontato per la verità in termini poco lusinghieri in occasione di un provino fatto dal regista a Maria. E una folla di tanti altri personaggi, anche meno noti o del tutto sconosciuti, ma puntualmente identificati nelle indispensabili note che accompagnano le lettere.
“Quando si è amato qualcuno, lo si ama sempre”, confidava l’attrice dagli occhi verdi molti anni dopo la morte di Albert Camus nel tragico incidente stradale del 4 gennaio 1960. Non è difficile crederlo, leggendo l’intensità dell’amore che sprigiona dalle pagine della loro corrispondenza.