A Murder at the End of the World. Metti le migliori menti del pianeta in un resort fra i ghiacci d’Islanda

La definizione migliore di A Murder at the End of the World l’ha data il New York Times: “P.I. meets A.I.” (P.I. sta per private investigator).
Perfetta.
La serie di cui vi parlo oggi è un giallo fantascientifico: un whodonit stiloso e moderno che parte da Agatha Christie per andare altrove e parlarci del nostro presente. Ma per comprendere il presente, si sa, bisogna partire dal passato: e io lo faccio subito.

A Murder at the End of the World. Cronache Letterarie

1938

Affascinata dai problemi che la storia impossibile, che le è venuta in mente, le pone, Agatha Christie inizia a scrivere il suo nuovo romanzo. La sfida è di quelle da far tremare i polsi. Dieci persone bloccate su un’isola deserta che dovranno morire tutte, una dopo l’altra, senza che la cosa diventi ridicola o che l’assassino sia troppo facilmente identificabile.

Il libro esce in Gran Bretagna l’anno successivo, con il titolo di Ten Little Niggers.

Nel 1940 arriva anche negli Stati Uniti dove, per evitare di offendere la sensibilità della popolazione di colore, viene ribattezzato And Then There Were None. Si utilizza l’ultima strofa della filastrocca che sta alla base della vicenda.

Ed è con lo stesso titolo, … e poi non rimase nessuno, che esce anche da noi, nel 1946.
Qualche anno più tardi, il romanzo cambia titolo anche in Gran Bretagna e “indians” sostituisce “niggers.”
Nel 1977, … e poi non rimase nessuno, diventa Dieci piccoli indiani anche in Italia.

Comunque lo vogliate chiamare, quello di cui parliamo è uno dei romanzi fondatori del ‘900 nonché il terzo più venduto di tutti i tempi (110 milioni di copie). E Agatha Christie, anche grazie a questo libro, è diventata la terza scrittrice più letta al mondo dopo Dio (La Bibbia) e Shakespeare.

Dieci piccoli indiani su un’isola davanti alla costa del Devon

La trama la conoscete tutti.
Otto persone vengono invitate per motivi diversi a Nigger Island, un’isola al largo della costa del Devon, da un certo signor U.N. Owen che nessuno di loro, però, conosce. Quando arrivano nell’unica casa dell’isola, invece del loro ospite trovano due domestici, i coniugi Rogers. Anche loro non hanno mai incontrato il signor Owen e sono stati assunti tramite un’agenzia.
Non sanno nemmeno se e quando il padrone di casa farà la sua comparsa.

Quella stessa sera, dopo cena, una voce registrata accusa ognuna delle persone presenti nella villa di essere stato responsabile, nel passato, di un omicidio per cui non ha mai pagato.
Subito dopo, un misterioso assassino inizia ad ammazzare gli ospiti uno via l’altro.

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Emma Corrin è Darby Hart

Il tema di fondo del libro è quello dell’inganno. I dieci “piccoli indiani” vengono portati sull’isola con l’inganno.

Ognuno di loro inganna gli altri sia negando le proprie responsabilità nella morte di cui è accusato, che riguardo alla propria natura. E anche l’assassino usa l’inganno per poter uccidere gli ultimi sopravvissuti.

Essendo fondamentalmente un romanzo psicologico, Dieci piccoli indiani è costruito intorno a pulsioni primordiali e istintive. Come accade in tutti i romanzi polizieschi, gli effetti della colpa e la paranoia sono i temi primari. La Christie riesce a far sperimentare ai suoi personaggi questi stati psicologici in forma estrema, isolandoli in un ambiente chiuso, da cui è impossibile fuggire, e mettendo un assassino in mezzo a loro.

Oggi sembra una formula narrativa scontata, nel 1939 assolutamente non lo era e sta lì, nell’invenzione di questa struttura, ancora più che nel plot perfetto, la grandezza del libro.

A Murder at the End of the World
A Murder at the End of the World

Per far paura non serve una vecchia casa

La Christie capovolge anche l’idea che, per far paura, sia necessaria una vecchia casa cadente. Mentre tutti cercano “Mr. Owen”, la scrittrice annota:

“Non c’erano angoli bui, nessun pannello che potesse celare una porta segreta, la luce elettrica rischiarava ogni cosa, tutto era nuovo, ben levigato e lucente. Non c’era nulla di strano, di sospetto. Nessuna atmosfera di mistero. E proprio questa era la cosa più spaventosa…”

Che poi è anche un notevole indizio su chi possa essere l’assassino. Visto che è impossibile che ci sia un estraneo nella villa, ad uccidere dev’essere necessariamente uno dei dieci ospiti. Solo che, alla fine, muoiono tutti e dieci…

A Murder at the End of the World. Islanda
A Murder at the End of the World

Un resort in mezzo ai ghiacci d’Islanda

Anche il resort in mezzo ai ghiacci dell’Islanda che fa da set in A Murder at the End of the World, e dove miliardario Andy Ronson invita alcune tra le migliori menti del pianeta per parlare con loro delle grandi questioni del nostro tempo, non ha nulla di spettrale. È tutto lussuoso, moderno ed essenziale, bello ed elegante. Il resort parla di ricchezza, di quella stessa ricchezza smodata che è diventata centrale nella serialità statunitense del 2023, basti pensare ai protagonisti, oscenamente ricchi, di Succession, o a quelli de La caduta della casa degli Usher (leggi qui la nostra recensione), o di molte altre serie.

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Tra gli ospiti di Ronson e di sua moglie, c’è anche Darby Hart (Emma Corrin), un’hacker ventiquattrenne che da adolescente, insieme al suo ex ragazzo Bill (Harris Dickinson) ha usato le sue abilità di hacker per scoprire l’identità di un serial killer. La vicenda viene ricostruita in maniera molto efficace, attraverso numerosi flashback che puntellano le varie puntate.

Darby e Bill si sono lasciati da tempo e si rincontrano proprio a casa di Ronson: se lei ha scritto un libro su quella vicenda, lui è diventato uno dei più importanti artisti figurativi del pianeta.

È a questo punto, dopo le necessarie presentazioni, che, alla fine della prima puntata, uno degli ospiti viene ucciso (non vi dirò chi) e Darby entra in modalità Sherlock Holmes per scoprire l’assassino che, ovviamente, mentre lei indaga, continua a mietere vittime, come in ogni whodonit che si rispetti.

A Murder at the End of the World

Dagli autori di The OA

Gli autori di A Murder at the End of the World sono due di quelli bravi: Brit Marling e Zal Batmanglij, famosi soprattutto per aver creato The OA. Una bella serie di fantascienza, purtroppo interrotta da Netflix alla seconda stagione, in cui una giovane donna cieca, scomparsa improvvisamente nel nulla, tornava a casa dopo sette anni, avendo misteriosamente recuperato la vista e presentando delle strane cicatrici sulla schiena.

Anche in A Murder at the End of the World (vedi qui il trailer), come avevano già fatto nella loro precedente serie, Marling e Batmanglij usano il genere (fantascienza o giallo che sia) per parlare d’altro. Qui la violenza contro le donne e il femminicidio, il cambiamento climatico, il controllo e la privacy (o, meglio, la sua mancanza), la robotica e, soprattutto, l’intelligenza artificiale.

Gli autori non la vedono solo come una minaccia, ma anche come un possibile aiuto. Le danno anche un corpo, sia pure olografico, quello dell’onnipresente Ray (Edoardo Ballerini), una specie di maggiordomo a cui gli ospiti del resort possono rivolgersi per qualunque cosa e che li avverte di tutto quello che non funziona, perfino dei loro parametri vitali. La trasformano, insomma, in un vero e proprio personaggio, tanto che, mentre, indaga sugli omicidi, Darby si ritrova a usare Ray come fonte di informazioni, aiutante e perfino confidente, trasformandolo in una sorta di dottor Watson olografico.

Harris Dickinson e Emma Corrin in A Murder at the End of the World

Due protagonisti strepitosi

Se Clive Owen fa il suo interpretando al meglio un Andy Ronson ambiguo e inquietante, ma molto umano, Emma Corrin e Harris Dickinson sono strepitosi. Sono loro a caricarsi sulle spalle la serie e a condurla in porto. Tutto il blocco che si svolge nel passato, quando i due si conoscono e si innamorano mentre danno la caccia al serial killer, è splendida e molto coinvolgente. Sicuramente la parte più riuscita dell’intera serie.

Altrove non tutto gira come dovrebbe, qua e là il giallo scricchiola non poco – Marling e Batmanglij non sono Agatha Christie – ma la soluzione finale non è affatto male e si tratta comunque di intrattenimento di altissimo livello (produttivamente e contenutisticamente). Le questioni che pone infatti non sono banali e riguardano molto da vicino tutti noi.

Stefano Piani

Stefano Piani

Romagnolo di nascita, ho vissuto per oltre 20 anni a Milano e una decina a Roma, prima di “perdermi” tra la riviera romagnola e l’Abruzzo. Faccio lo sceneggiatore da quasi 30 anni: fumetti - molti, più di 200 storie scritte per la “Sergio Bonelli Editore” - televisione e cinema.
Mi piacciono i polizieschi, i cani e organizzare strambi tornei su Facebook… oltre a qualche altro milione di cose.

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