Ci sono tre debolezze del lettore: la prima
Avviso ai naviganti della letteratura. Il romanzo di Michael Bible, L’ultima cosa bella sulla faccia della terra ci pone davanti ad almeno tre debolezze che dobbiamo accettare, pur maneggiandole con cura.
La prima riguarda la nostra scelta dei libri “al buio”. Quanto ci lasciamo influenzare dai titoli?
Se la risposta è “parecchio”, la domanda successiva può immalinconire: quanti ottimi libri ci siamo persi perché avevano un titolo non adeguato?
Con queste premesse, non possiamo non benedire la scelta di Adelphi di cambiare il titolo al romanzo di Bible, trasformando un insapore The Ancient Hours – che tra l’altro correva il rischio di cozzare con quel totem letterario che resta The Hours di un altro Michael, cioè Cunningham – con una frase di otto parole che risulta magnetica e quindi vincente.
Accertata la prima fragilità da lettore, passiamo alla seconda
La biografia dell’autore è alquanto misteriosa. Si sa che è nato in North Carolina, è vissuto a Los Angeles e adesso risiede a New York, ma quanti anni abbia è un mezzo mistero. “Molto giovane”, è la risposta che si riesce a spremere dal web. In effetti, prima di questo romanzo, scritto nel 2020, ha pubblicato solo The Endless Idiot (2018) e Empire of Light (2019). Facile supporre, perciò, che L’ultima cosa bella sulla faccia della terra sia stato scritto prima di compiere trent’anni. Verrebbe da dire: “Accidenti!”.
Non è questa la sede per entrare nella lunga disamina di una letteratura statunitense che spesso fa fare le ossa ai propri autori attraverso la pubblicazione di racconti, che invece alle nostre latitudini restano un genere spesso considerato tabu dagli editori. Invece negli Usa, una volta sviluppato il talento nel respiro breve, si può passare a navigare nel lungo, basti pensare al percorso di David Foster Wallace, scomparso davvero troppo presto dalla nostra valle di lacrime.
Morale: la precocità di Bible ammira e sconcerta. Che tutto questo sia anche merito del fatto che abbia lavorato da librario? L’aneddoto, almeno, restituirebbe forza all’antico adagio: “Per saper scrivere bisogna leggere parecchio”. E se pensate che sia una banalità, non avete letto le interviste di alcuni autori di gran moda.
… e la terza
La terza debolezza, a nostro parere, è confinata fra coloro che sono entrati negli “anta”, quelli che da giovani – se non avevano pensato di cambiare il mondo – quantomeno erano convinti che non se ne sarebbero fatti contaminare dalle sue brutture. Scommessa persa, naturalmente, e Bible ce lo ricorda nel titanico incipit che vedremo fra poco. Lo ammettiamo: nel rileggerlo, una lacrima in stile “come eravamo” ci scappa sempre.
La trama è semplice, però brutale
Un tentativo di suicidio in una chiesa, si trasforma incidentalmente in una orribile strage. Nel rogo muoiono venticinque fedeli. Diciotto anni più tardi gli abitanti di Harmony, una cittadina del Sud degli Stati Uniti, ancora non hanno elaborato quel lutto, e ancora – come un coro greco – si interrogano e commentano l’accaduto.
La loro versione si alterna a quella di altri personaggi direttamente coinvolti o solo sfiorati dalla tragedia, mentre su tutto domina il racconto del colpevole, rinchiuso nel braccio della morte.
Da dove è scaturita quella decisione assurda? Che cosa gli ha sconvolto la mente? La droga, l’alcol, l’eccesso di antidolorifici? L’amore “selvaggio, cosmico e strano” per Cleo, o quello per Paul, l’amico scomparso “come un temporale che passa sopra la campagna e si dilegua in un batter d’occhio”? O piuttosto quella pena nascosta, quello sgomento dinanzi a un universo infettato da una tetra malattia di cui solo loro tre sembravano avere consapevolezza?
Il romanzo di Bible è dolente e martellante, come i periodi del suo incipit che apre a una finestra temporale lunga anni.
“Eravamo innocenti. Convinti di essere speciali. Sbronzi tutti i weekend al centro commerciale. Il mondo era nelle nostre mani. Non ci importava il tempo. L’amore era una cosa scontata. La morte aveva paura di noi. Adesso abbiamo il grigio nella barba. Il cielo è un livido viola. Il centro commerciale è morto. Siamo i vecchi che avevamo giurato di non diventare mai”.
Il mondo esiste anche se fa male
La prima persona plurale, man mano, scivola nella presa di coscienza del singolo. Stilisticamente, con lo scorrere delle pagine, infatti, la forma asciutta si apre all’uso delle subordinate, ma quasi con pudore, finché anche l’interlocutore immaginario – il lettore – viene addirittura chiamato in scena (si parla “per ricordarvi”). Perché il mondo esiste, anche se fa male, come accadeva in certi romanzi di William Faulkner, gigante della parola con radici geografiche simili a quelle di Bible, che proprio nella Bibbia – e non è un gioco di parole – sciacqua i propri panni letterari.
Il romanzo, che ha appunto una struttura corale, lentamente scivola nel terreno dell’incertezza, delle verità apparenti. E allora che cosa resta alla fine del dolore dei singoli, di una comunità, della messe di ricordi che compongono e strutturano la storia di un luogo? Probabilmente alcune irrinunciabili convinzioni personali e, soprattutto, il senso di un tempo invincibile, che possiamo arginare solo attraverso la consapevolezza e la cura dei piccoli gesti.
L’ultima cosa bella sulla faccia della terra
“Ho letto da qualche parte che alla terra restano solo un paio d’anni buoni. Fra poco farà troppo caldo per viverci. Do per scontato che arriverà prima la mia fine che quella del mondo, la mia mente scivola già verso l’oblio. Certi giorni vanno meglio di altri ma quando va male sono come un bambino convinto che se si chiudono gli occhi il mondo sparirà. Presto sarò polvere sotto una lapide e col tempo anche la lapide diventerà polvere e non esisterà più nulla. Prima che succeda volevo mettere per iscritto certe cose che ho amato e ricordarvi che, per adesso, resisto. Il mio cagnolino ha paura dei tuoni. La sera bevo il tè e leggo il giornale. Quando metto i tulipani alla finestra si aprono verso il sole. In lontananza c’è qualcuno che mi chiama”.
E allora, forse, è proprio qui il segreto della vita. La capacità di guardarsi intorno e non dimenticare. Solo per questo riusciremo ad accorgerci di ogni cosa bella sulla faccia della terra.